Colleferro e Covid-19, la psicologa Scarozza: “La comunità coesa e solidale”

Dal cambiamento repentino di abitudini alla convivenza forzata: la nostra vita è cambiata. La psicologa risponde

L'emergenza sanitaria da Covid-19 costringe tutti noi a rinunciare a spazi e abitudini, a cambiare velocemente stili di vita, mentre le notizie che ci giungono sono spesso spaventose e sconfortanti. Abbiamo parlato con la dottoressa Valentina Scarozza, psicologa e co-fondatrice del progetto Koinè – Officina Comunicazione.

 

Dottoressa, come è cambiato il suo lavoro con le restrizioni dovute a quella che ormai si è rivelata una pandemia?

“Per la prima volta ho iniziato ad utilizzare dei metodi a distanza per portare avanti consulenze già avviate e formazione. I lavori domiciliari sono diventati privi di un setting strutturato e si lascia spazio alla creatività per organizzarsi in modo utile. Credo che questa non vada visto come il risultato di un’emergenza, ma un cambiamento che porterà allo stabilirsi di nuove modalità di stare in rapporto, che dureranno anche quando l’emergenza sanitaria sarà risolta. Penso alla didattica online, allo smartworking, al delivery, alle risorse di riorganizzazione che stiamo mobilitando. Penso anche agli aspetti negativi insiti in questa fase, verso i quali tutti noi abbiamo il dovere di vigilare: per esempio la didattica a distanza produce il rischio di lasciare ancora più indietro gli ultimi, e di diventare una educazione classista, in cui le famiglie con più figli e meno dispositivi tecnologici, sono svantaggiate. Credo che gli psicologi siano tra i professionisti chiamati a stare in questo cambiamento, a produrre sviluppo e servizi, ma anche a monitorare gli esiti di quello che mi sembra essere un cambiamento culturale molto importante”.

 

Quali disagi le manifestano di più i suoi pazienti?

“Parliamo di persone e di aziende, sono due categorie che solitamente richiedono una consulenza psicologica per motivi molto diversi, ed invece in questa situazione tendono a riavvicinarsi. Entrambi chiedono di trovare strumenti per stare nei loro contesti che improvvisamente sono molto cambiati. Le famiglie si trovano a casa a lavorare e studiare, in una compresenza mai avuta prima, e devono trovare il modo di gestire spazi, tempi ed emozioni. C’è l’angoscia per il futuro dei più giovani e dei più anziani, il collassare di situazioni che erano già problematiche e che ora sono diventate insostenibili, come i casi di violenza domestica, c’è la solitudine e la paura. Le aziende si sono trovate a dover riorganizzare completamente il loro business, dovendo far fronte ad una destrutturazione dei loro assetti abituali per poterne pensare di nuovi. Con facilità viene suggerito loro di puntare sul mercato dell’online, ma chi lo fa sottovaluta quanto sia difficoltoso innovarsi, e soprattutto farlo in questa condizione di precarietà”.

 

La comunità di Colleferro le appare molto preoccupata?

“Credo che Colleferro, come città di piccole dimensioni e che non è stata duramente colpita da questa pandemia, riesca a mantenere dei livelli di convivenza utili alla solidarietà e alla comprensione. A Colleferro, come negli altri Comuni ancora abbastanza piccoli, ci si conosce tra vicini di casa, ci si fida di commercianti di quartiere, si conoscono personalmente gli impiegati delle forze dell’ordine e i medici. Credo che questo ci aiuti: laddove l’indicazione è quella di mantenere le distanze fisiche, per ovvie motivazioni sanitarie, viene in nostro soccorso la vicinanza emotiva”.

 

Quali sono le risposte e consigli professionali ma anche umani che lei cerca di dare in questo momento così eccezionale e drammatico per tutti noi?

“E’ sempre difficile per la psicologia proporre ricette universalistiche, ed è fin troppo banale suggerire alle persone alcune buone prassi da seguire come non dare credito alle fake news di cui siamo inondati e concentrarsi sul vivere al meglio possibile il qui ed ora, invece di ossessionarsi con pensieri mortificanti che riguardano il futuro. La verità è che qualsiasi buona pratica deve poggiarsi su un terreno interiore che, in questo momento, può essere fertile oppure sabbioso, stabile oppure incerto. Il consiglio che posso dare è quello di concentrarsi sul proprio benessere e, laddove si sente di non riuscirci, acquisire altri strumenti per farlo”.

 

Come utilizzare i social in questo momento?

“I social svolgono una funzione di rapporto con il mondo esterno alla nostra casa, e, in un certo modo, costruiscono la nostra immagine di come sia il mondo esterno. Sono il luogo dove vediamo le dirette del Presidente del Consiglio, leggiamo i bollettini della Protezione Civile, ci informiamo delle attività di amici e colleghi, siamo in contatto con le persone che non possiamo incontrare. Bisogna conservare una propria bussola in questo, accogliendo quella che è una risorsa importantissima ai tempi del distanziamento sociale, mantenendo la capacità critica di riconoscere che quanto vediamo o leggiamo, è una lettura della realtà, un modo di rapportarsi ad essa, che rispecchia il vissuto di chi la esprime. Pensiamo all’odio scatenato sui social contro i runner ed i proprietari di cani, a prendere per vero quanto si dice dovremmo immaginare città piene di corridori e quattrozampe, individui indifferenti, pericolosi, che determineranno il contagio per tutti. Più probabilmente, invece, questo fenomeno social trova fondamento nella ricerca condivisa di un nemico visibile, il passeggiatore, al posto di un nemico invisibile, il virus, per gestire la propria angoscia”.

 

Quando è il caso di chiamare uno specialista, per avere un suppurto psicologico professionale?

“Credo che non sia l’emergenza in sé che dovrebbe muoverci verso un consulto psicologico, ma può accadere che l’emergenza diventi quell’evento critico che ci fa accorgere di un problema preesistente. Ci sono molti, diversi, approcci della psicologia, e quando si pensa di rivolgersi ad uno psicologo bisognerebbe informarsi il più possibile su quale professionista sia più adatto ai propri obiettivi. Io penso la psicologia come sviluppo di risorse e di nuove possibilità di vita, recupero di margini di comprensione della propria storia per curare le ferite e permetterci un nuovo sguardo”.

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