Come potrà vivere il ciclismo nei giorni del Coronavirus? Eppure la bicicletta è il mezzo della solitudine e della autonomia e sembra perfetta per interpretare, fuori dalla frustrazione, questa difficile stagione.
Ma il ciclismo è massa che partecipa e si affaccia sulla strada, all’arrivo è attesa che dura una vita e immaginario che viene da lontano, dall’infanzia e vento forte che porta via il gruppo colorato di ciclisti in un lampo.
Poi la tv ci potrà regalare la fatica e l’impresa. I resoconti dettagliati dei ritardi degli inseguitori e, in una schermata, tutta la carriera del fuggitivo. Senza che Andriano Dezan a memoria ci ricordi chi sia l’uomo in fuga.
Eppure, anche oggi, il vincitore di giornata è un uomo da raccontare, una storia particolare, un fiore che tiene, se fortunato, una stagione. Stelle che brillano e intravedono un destino luminoso e spesso si spengono di colpo in un declino inaspettato. E lì la speranza la ripresa, ancora una volta il racconto è l’attesa.
Questi ragazzi vanno a novanta all’ora su un mignolo di copertone tirato a morte, in curva e sul bagnato, col freddo e a due passi dal traguardo. A una curva del cambio di passo della vita, che può decidere che se continuerai a fare il ciclista. Se avrai un altro anno di contratto, ho visto gambe arrendersi all’acido lattico e visi travolti dalla maledizione. Succede se si è andati in fuga centocinquanta chilometri prima che c’era il sole e sul rettilineo finale piove e ti hanno raggiunto sotto il triangolo rosso degli ultimi mille metri. Ora la stagione si trasferisce a settembre, si sovrapporranno le “Grandi Classiche” ai “Grandi Giri”.
Uno dopo l’altro nell’ordine, prima il Tour, poi il Giro d’Italia, quindi la Vuelta, si strapperanno i campioni (il Tour li strapperà a tutti). Vanno recuperati i soldi dagli sponsor, vanno pagati gli stipendi di tutti, del campione, del gregario, del massaggiatore. Bisognerà trattenere le risorse per tutti quelli che lavorano intorno al ciclismo.
Forse ci voleva una idea in più, forse si poteva dedicare, nell’anno più difficile del dopoguerra, un senso di Europa, allestendo una sola corsa a tappe. Pensateci: a settembre, Vuelta, Tour e Giro insieme! Partendo magari dalla Spagna transitando in Francia e finendo in Italia.
Una sola corsa, ventuno tappe, sette per Paese con le frazioni per velocisti, le cronometro, i percorsi misti, le montagne, i Pirenei, le Alpi Francesi e le Dolomiti. Un Giro bellissimo e, alla fine di questa irripetibile corsa, le Grandi Classiche che non sono andate in scena ad agosto proporle in ottobre. Un mese, nell’Europa meridionale, ancora pieno di sole: Le Strade Bianche, la Sanremo e, per chiudere, il Lombardia.
Avremmo visto per una volta finalmente tutti insieme. Chris Froome, Egan Bernal, Julian Alaphilippe, Bardet, Sagan, Geraint Thomas, Vincenzo Nibali, Nairo Quintana, Mickel Landa, Simon Yates, Rigoberto Uran.
Sarebbe stato un modo per vivere questo momento, invece che nella frustrazione, nella novità. Nel frattempo, questa estate me la faccio in bicicletta, a noi rimangono i manubri e i raggi, le ruote e i campanelli.
Possiamo pedalare nei bellissimi paesaggi dei Simbruini, sui Monti della Tolfa in vista del mare o girare intorno ai nostri laghi, mangiare un panino alla fine della fatica più grande, un sorso d’acqua e guardare in fondo alla valle risalita, fino dove si riconosce i profili delle colline trasformate da una insolita prospettiva. Visto da lì il mondo è ancora bello.
*Un articolo di Andrea Satta
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