Fabrizio Marchi è giornalista, insegnante di filosofia e storia e scrittore, si definisce un militante marxista e socialista, ma è disposto a fare i conti con l’ideologia cosiddetta “politicamente corretta”.
Oggi ve lo presentiamo in quanto candidato consigliere comunale, come indipendente, alle prossime elezioni amministrative di Roma nel Partito Comunista
Roma è ogni giorno più ingovernabile, sembra sfuggire di mano a chiunque tenti di mettere ordine alle sue questioni mentre i suoi cittadini sono preda di un senso di impotenza nel vedere il degrado aumentare in una catena di problemi amministrativi, logistici e sociali. Qual è il suo programma per la capitale?
“Roma ha bisogno di un piano straordinario, di un grande rilancio delle politiche pubbliche. Perché si tratta di una grande metropoli, una delle più estese capitali europee. Perciò non può essere governata con una mentalità da mera ordinaria amministrazione. L’Italia sta per ricevere i fondi del Recovery Fund, quindi occorre presentare al Governo nazionale un programma per un progetto complessivo di riqualificazione della città. E’ l’unico modo per uscire dall’impasse in cui ci troviamo.
Un programma che ha necessità di risorse e di tempo; coloro che promettono di risollevare la città in tempi rapidissimi stanno facendo solo retorica.
I punti fondamentali di questo programma sono la Sanità, il trasporto pubblico, la riqualificazione delle periferie e la questione rifiuti.
La Sanità è stata smantellata in seguito alle politiche neoliberiste degli ultimi trent’anni. Anche se questa è una questione che riguarda principalmente il Governo e le Regioni il Comune potrebbe fare la sua parte. Potrebbe cioè spingere per costruire presidi medici territoriali, organizzare terapie domiciliari, riaprire le tante strutture che sono state colpevolmente chiuse in tutti questi anni.
Come dicevo, occorre un grande rilancio delle politiche pubbliche. Una cesura netta con le politiche neoliberiste che hanno demolito il welfare.
Un altro punto fondamentale è quello del trasporto pubblico. Penso in particolar modo alla metropolitana, assolutamente insufficiente rispetto alle necessità della città. Quando si dice che la costruzione di nuove linee metropolitane non è attuabile perché Roma è piena di reperti si sta accampando un pretesto.
I reperti che inevitabilmente si trovano scavando possono essere custoditi in un museo, e quindi questo non deve diventare un alibi per impedire o rallentare gli investimenti per costruire nuove linee sotterranee. Anzi, in questo modo si arricchisce il patrimonio artistico, storico e culturale della città e nello stesso tempo si aumenta sensibilmente la qualità della vita dei cittadini che possono così spostarsi molto più rapidamente all’interno della città.
Inoltre le linee di superficie vanno decisamente aumentate, ed è determinante che in tutto ciò i lavoratori e le lavoratrici – che conoscono meglio di chiunque altro queste problematiche – vengano coinvolti direttamente. Poi c’è naturalmente l’annosa questione del rifacimento del manto stradale. Gli automobilisti e soprattutto i motociclisti (a Roma sono circa 500.000 le persone che si spostano in scooter) devono poter circolare in sicurezza.
Fondamentale è il tema della riqualificazione delle periferie, che in una gran parte dei casi sono ancora dei quartieri dormitorio, di fatto dei ghetti.
Le periferie devono diventare dei luoghi vivibili, devono offrire concrete opportunità di crescita culturale, di socialità e di formazione.
Quindi bisogna aprire teatri, biblioteche, centri sportivi, strutture che siano in grado di rappresentare una reale alternativa alla strada, che spesso conduce, specie i più giovani, alla criminalità e allo spaccio.
E infine (si fa per dire le questioni sono moltissime) c’è la questione dei rifiuti. Da questo punto di vista la città si trova da molto tempo in uno stato di degrado, soprattutto, guarda caso, i quartieri più popolari. Roma deve dotarsi di un proprio impianto di smaltimento dei rifiuti e bisogna assumere più personale. La riqualificazione della città deve essere un volano anche e soprattutto per la crescita di una occupazione stabile, solida e non precaria.
Per raggiungere questi obiettivi servono risorse e soprattutto volontà politica. Quest’ultima è mancata negli ultimi decenni, per lo meno dalla fine delle ultime giunte di sinistra guidate da Petroselli, Vetere e Argan ad oggi.
E’ necessario disarticolare il sistema di potere (costruttori, palazzinari, banche, lobby affaristiche) che ha quasi sempre fatto da padrone – con le dovute eccezioni prima menzionate – in questa città sia con le giunte di centrodestra che di centrosinistra.
Lei si candida come indipendente e ha anche delle sue proposte autonome.
“La prima riguarda i padri separati. Quella dei padri separati che finiscono in condizioni di povertà assoluta è una tragedia diffusa di cui si parla molto poco.
Centinaia di migliaia di essi in tutto il paese vive sotto la soglia della povertà o giù di lì. Sono stati costretti a lasciare la loro abitazione anche se spesso è di loro proprietà e continuano a pagarci il mutuo.
Costretti a prendere una casa o anche solo una camera in affitto e dovendo pagare gli alimenti ai figli e alle figlie si ritrovano molto spesso in una condizione di assoluta miseria.
Provate a togliere da una busta paga di 1.400 o 1500 euro al mese (per chi ha un reddito fisso e una occupazione a tempo indeterminato, cosa diventata ormai quasi un lusso…) 600 euro per i figli, altri 600 o 700 per prendere un appartamento in affitto in un quartiere periferico di una grande città e la matematica vi dirà cosa rimane per vivere, o meglio, per sopravvivere.
Da questi uomini e padri si pretende che debbano garantire alle ex mogli lo stesso tenore di vita che conducevano quando costituivano un unico nucleo famigliare in una stessa abitazione, ma questo è oggettivamente impossibile.
La legge 54/2006 sull’affido condiviso è sistematicamente disattesa, la casa viene lasciata alla moglie anche quando è di proprietà del marito così come i figli che vengono sempre affidati alla moglie/madre. Questi uomini si trovano quindi a dover mantenere loro stessi, la ex moglie e i figli. In questa situazione è normale che si finisca in miseria. Molti di questi sono costretti a ricorrere alla Caritas per mangiare e per dormire; nei casi più estremi si riducono a dormire in macchina o nella roulotte prestata da un amico.
La mia proposta è che Il padre separato debba essere a tutti gli effetti equiparato ad uno sfrattato ed entrare nelle graduatorie per l’assegnazione di una casa popolare.
La seconda proposta riguarda la questione economica, sempre per i padri separati.
Una delle lamentele più frequenti da parte delle madri separate è quella di ricevere il mantenimento per i figli in misura ridotta rispetto a quanto stabilito dal tribunale, non riceverlo ogni mese con regolarità o non riceverlo affatto. Tale criticità nasce da un presupposto estremamente concreto: i padri separati incontrano oggettive difficoltà economiche, non sono ricchi possidenti che non versano l’assegno per capriccio.
Il mantenimento del tenore di vita avuto in costanza di matrimonio è un principio assurdo attualmente controverso in alcuni tribunali, ma ha orientato le sentenze ininterrottamente dagli anni ’70 ad oggi.
È un assurdo in economia. Con un reddito o cumulo di redditi con i quali si mantiene un nucleo familiare è impossibile (non difficile, impossibile) mantenere due nuclei familiari conservando intatto il tenore di vita per tutti i soggetti coinvolti.
Quindi moglie e figli possono conservare lo stesso tenore di vita goduto prima della separazione, standard che deve essere loro garantito dall’ex marito il quale è l’unico soggetto che, come diretta conseguenza del provvedimento, deve drasticamente ridurre il proprio tenore di vita scendendo spesso sotto la soglia di povertà.
La risposta istituzionale è sempre stata giudiziaria. Quindi denuncia, processo ed eventuale condanna, offrendo alle parti – sia mogli che mariti – una soluzione paradossale che passa attraverso un maggiore aggravio economico (spese legali) per ex coniugi che attraversano proprio delle difficoltà economiche.
Non ho soldi e devo spendere soldi per dimostrare di non averli.
Una soluzione ventilata, sebbene mai adottata su scala nazionale, è quella della costituzione di un fondo ministeriale per saldare i crediti vantati da chi agisce in tribunale dimostrando di non ricevere quanto dovuto. La mia proposta tende invece ad eliminare sia i costi che i tempi lunghi della giustizia.
Per chi ne ha i requisiti (modello ISEE) il contributo al mantenimento della prole viene coperto, in percentuali variabili, da un apposito fondo Comunale.
Non vengono intaccati i diritti del figlio. Se il tribunale stabilisce un assegno di 400 euro il minore riceve effettivamente l’intera somma.
Non si grava il padre di spese al momento per lui insostenibili, costringendolo di fatto a commettere un reato ogni mese; versando 200 euro dei 400 dovuti la spesa diventa sostenibile.
La percentuale a carico del fondo comunale non deve essere obbligatoriamente il 50% ma una variabile che può oscillare a seconda delle caratteristiche (capacità reddituale) di ogni singolo caso.
Non si attiva alcun iter in tribunale, la procedura per gli aventi diritto è amministrativa e non giudiziaria
Non c’è bisogno di passaggio di denaro. Il contributo comunale non viene versato al padre per girarlo al figlio ma può essere accreditato su una card nella disponibilità del genitore affidatario in caso di affido esclusivo o convivente con la prole in caso di affido condiviso. Esattamente come accade per il reddito di cittadinanza. Sulla stessa card dovrebbe versare anche il padre la percentuale di sua competenza.
Appare positivamente percorribile la strada della card che ha il vantaggio di rendere tracciabili i tempi e le spese. Risulta se il padre versa in ritardo, risulta se del denaro viene fatto un uso improprio, risulta se non viene speso integralmente.
Il denaro destinato ai figli deve essere effettivamente impiegato per le loro esigenze, quindi la tracciabilità permette due vantaggi.
1) di evitare un indebito arricchimento per il genitore che lo riceve 2) di evitare che il denaro venga speso per beni e servizi non destinati al minore.
La terza è la richiesta al Comune è quella di aprire l’accesso ai centri anti-violenza sovvenzionati anche per gli uomini vittime di violenza.
Questa è una misura di civiltà che purtroppo spesso non viene accettata a causa di un tabù culturale e ideologico che vuole che la violenza sia maschile per definizione. Nella cultura dominante, infatti, il maschile è diventato ormai una sorta di “bad company” dell’umanità in modo da lasciare ogni virtù all’universo femminile. Una visione profondamente sessista, anche se camuffata come “progressista e di sinistra”.
Tutto ciò ha naturalmente delle conseguenze molto pesanti e dolorose per gli uomini in carne ed ossa, soprattutto per quelli appartenenti ai ceti popolari e subordinati che si trovano molto più esposti, rispetto agli altri, a questa offensiva.
A chi le contesta queste proposte obiettando che queste posizioni sarebbero sessiste o sfavorirebbero la causa femminile cosa risponde?
“Da marxista e da socialista sto dalla parte di tutti gli oppressi e sfruttati, indipendentemente dall’appartenenza o dall’orientamento sessuale, dall’etnia o dalla provenienza. Io sto dalla parte di chi sta in basso, di chi è sfruttato e vive condizioni di disagio. Ci sono sofferenze specifiche che riguardano molti uomini e una gran parte dei padri separati così come altre categorie o fasce sociali.
Negarlo significherebbe avallare una logica sessista e interclassista in base alla quale gli uomini, per il solo fatto di appartenere al genere maschile, sarebbero in una condizione di privilegio e di dominio”.
“La lotta tra uomini è donne è un postulato ideologico privo ormai di ogni fondamento e del tutto funzionale al sistema capitalista dominante che ha interesse a dividere le persone, ad alimentare guerre fra poveri. Come quella che oppone gli autoctoni agli immigrati e oggi anche i vaccinati ai non vaccinati.
Si tratta di depistaggi ideologici che servono a scongiurare e a disinnescare l’unica guerra che i padroni del vapore temono come la peste, quella di classe, quella dei poveri contro i ricchi. Quella di chi sta in basso contro chi sta in alto.
Naturalmente, non si tratta in alcun modo di disconoscere la violenza subita dalle donne ma di riconoscere anche quella subita dagli uomini e di aggiungere il diritto di questi ultimi ad avere le stesse tutele.
Quello che dobbiamo capire è che la stessa oppressione di classe si declina in forme diverse in base al genere di appartenenza.
Ad esempio una specifica discriminazione che riguarda le donne è quella per la quale gli imprenditori (e le imprenditrici) tendono a non assumere una donna quando è in una età in cui potrebbe decidere di avere un figlio. D’altro canto a fare i lavori più rischiosi e pesanti sono gli uomini, che infatti muoiono sul lavoro pressoché quasi in esclusiva. Come vediamo, si tratta di due forme di oppressione e discriminazione in base appunto alle diverse specificità sessuali. L’errore più grande è proprio quello di ridurre la complessità della società capitalista ad una sciocca e distruttiva guerra fra i sessi”.
E’ necessario invece superare queste divisioni create ad arte da chi ha interesse a dividere e lottare uniti, uomini e donne dei ceti popolari, per trasformare l’attuale stato delle cose”.
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