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Controversia sul divorzio

Il testo evangelico (Mc. 10, 2-16) di questa domenica è tratto da una serie di insegnamenti di Gesù che Marco colloca tra il secondo e il terzo annuncio della passione.

Matrimonio e Divorzio (vv. 2-12)

Alcuni farisei chiedono a Gesù se è lecito ad un marito ripudiare la propria moglie (v. 2). La loro intenzione  è malevola, perché vogliono sottoporre Gesù ad un test su un punto della legge mosaica. Di fatto Gesù, invocando un altro testo della legge, darà su questo punto un’interpretazione nuova. La contrapposizione di due testi costituisce la piattaforma del dialogo.

Il testo tratto dal Deuteronomio (24, 1) affermava l’ordine che Mosè aveva concesso al marito di ripudiare per qualunque motivo la propria moglie. Il motivo, inteso in senso stretto, era la cattiva condotta della donna che poteva renderla sospetta di infedeltà verso il marito; inteso in senso largo, era qualunque dispiacere arrecato al marito (la donna era considerata inferiore rispetto all’uomo).

Gesù dichiara che questa norma è una disposizione di Mosè data ai giudei per la durezza del loro cuore (v. 5). Dietro questa disposizione e dietro l’autorizzazione al ripudio che essa implica, Gesù condanna l’incapacità di avvertire e di realizzare la volontà divina. Il cuore duro non lascia trasparire la luce di Dio. Essa è soltanto una misura presa nei confronti di uomini peccatori.

Gesù manifesta invece la volontà divina a partire da un altro testo della Legge. Egli associa due estratti dal racconto biblico delle origini secondo il libro della Genesi: 1, 27 e 2, 24. Il primo fonda la distinzione dei sessi: maschio e femmina li creò; il secondo, direttamente collegato al precedente, ne trae le conseguenze affermando che i due saranno un’unica carne. La distinzione dei sessi permette la riunione dell’uomo e della donna nell’unità di una sola carne, cioè di un solo essere-a-due. La risposta di Gesù manifesta l’autorità con cui, senza tener conto delle interpretazioni degli scribi, legge la Parola e la rivela nel suo insegnamento: egli apre una nuova breccia nel particolarismo giudaico in favore dell’universalismo della missione evangelica. Qui Gesù tocca un problema universale, quello dei rapporti tra uomo e donna. La volontà divina è colta non in un precetto o in qualche regolamentazione legale della condotta umana, ma nella relazione profonda che la struttura del matrimonio stabilisce tra l’uomo e la donna.

Il colloquio privato (vv. 10-12)

Le affermazioni di Gesù rivolte ai discepoli in privato aggiungono alcuni chiarimenti pratici al suo insegnamento. Dalla volontà divina sul matrimonio indissolubile si passa ad un giudizio morale su atti concreti e sui loro autori. La risposta di Gesù alle domande dei discepoli è adattata alla condizione sociale e culturale di cristiani provenienti dal paganesimo.

Secondo la legge ebraica, una donna non può divorziare dal suo marito. La legge romana riconosceva alla donna il diritto di rompere il matrimonio con il marito. Il perdurare del legame matrimoniale è tale per cui il matrimonio, dopo il ripudio, è qualificato come “adulterio”, come “infedeltà coniugale”, sia da parte dell’uno che da parte dell’altra. Il testo di Marco presuppone l’uguaglianza naturale dell’uomo e della donna nei confronti del matrimonio e del rispetto che gli è dovuto. San Paolo prevede il caso di separazione degli sposi senza nuove nozze (1Cor. 7, 10-16).

Gesù, i bambini e il Regno di Dio (vv. 13-16)

Quelli che conducono da Gesù i bambini vogliono farglieli toccare, alla ricerca di una benedizione. I discepoli si oppongono alla realizzazione del progetto: si oppongono agli adulti, non ai bambini. Il loro atteggiamento appare ingiustificato. Ma il rimprovero che ricevono da Gesù presuppone che i discepoli non vedano alcun nesso tra il desiderio della gente e l’opera di Gesù. E’ comunque a questo livello che Gesù imposta il discorso. Egli vuole il contatto con i bambini: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio” (v. 14). Con queste parole Gesù stabilisce un legame tra il Regno di Dio sia con i bambini che con se stesso. Questo legame è alla base della relazione che egli intreccia benedicendoli.

I bambini sono la testimonianza vivente di una capacità di accettazione che è necessaria a tutti di fronte al regno di Dio. Il regno di Dio è un dono, su cui l’uomo non può accampare alcun diritto. In rapporto ad esso non può vantarsi di alcun merito. Si tratta di piccolezza oggettiva, di assenza di pretese, di incapacità di bastare a sé e di fare affidamento solo su stessi.                                              

Bibliografia consultata: Delorme, 1976.

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