Religione

Convertirsi alla gioia: una conversione concreta, attenta ai poveri

Per accogliere l’invito alla conversione contenuto nella predicazione di Giovanni non bastava sottoporsi al battesimo da lui amministrato presso il Giordano: onde evitare che quest’ultimo diventi soltanto un rito vuoto, è necessario che la conversione si traduca in azione (Lc. 3, 10-18). E’ significativo che come espressione della conversione Giovanni non indichi pratiche ascetiche e non proponga il suo ideale di vita ritirata nel deserto. Piuttosto il Battista esorta quanti si accostano al suo battesimo a riformare in modo radicale la propria vita.

Per questo, ognuna delle categorie sociali, qui menzionate da Luca, riceve da Giovanni un peculiare invito al cambiamento, che punta a emendare comportamenti sbagliati propri di quel gruppo. Lungi dall’essere una proposta astratta, la conversione è una realtà estremamente concreta, che chiama a ripensare la propria condizione e ad agire di conseguenza: non a caso la prima parte del nostro testo è scandita dalla triplice ripetizione della domanda: “Che cosa dobbiamo fare?” (vv. 10.12.14).

Il primo gruppo che rivolge al Battista questo interrogativo sono le folle in generale. A loro Giovanni risponde di condividere quanto si possiede con i più indigenti. Il cibo e il vestito sono beni materiali che assicurano a ogni persona il sostentamento per la propria vita e la dignità: nessuno deve restarne privo. La definizione più precisa dei due gruppi successivi, che interrogano Giovanni su come esprimere nella vita il loro desiderio di conversione, implica risposte più precise e circostanziate.

I pubblicani, odiati esattori delle tasse disprezzati dal popolo e considerati peccatori pubblici, sono esortati dal Battista a non pretendere denaro in più rispetto ai tributi fissati, rinunciando a quelle somme da loro imposte, spesso in maniera arbitraria, che assicuravano loro un notevole guadagno. Un invito simile è rivolto da Giovanni ai soldati, i quali spesso facevano valere la loro forza e il loro potere, estorcendo con violenza e ingiustamente alla gente denaro e altri generi di beni, che andavano a integrare i loro salari, spesso così bassi nell’antichità da spingere i soldati a saccheggi e razzie. Al pari dei pubblicani, anche i soldati sono esortati dal Battista a rinunciare al loro guadagno disonesto.

Si può notare come le richieste di Giovanni ai suoi penitenti sono implicitamente caratterizzate da un’attenzione ai più poveri e afferiscono tutte all’ambito economico. Si potrebbe qui vedere un’anticipazione di una tematica tanto cara all’evangelista Luca, ossia quella delle ricchezze e di un loro uso non egoistico, ma aperto alle necessità dei più poveri.

La venuta del più forte

La seconda parte del brano si apre con una transizione, che segna un passaggio nella predicazione del Battista: da esortazione etica, essa si fa annuncio dell’imminente arrivo del “più forte” (v. 16), che avrebbe inaugurato il tempo finale (escatologico).

Il vasto afflusso di gente sulle rive del Giordano, richiamate dal suo battesimo, e l’integrità della sua vita e del contenuto della sua predicazione, indussero probabilmente alcuni a pensare a Giovanni come il Messia, annunciato in diversi testi della tradizione giudaica. In effetti, la storia giudaica del I secolo conferma quanto fosse viva l’attesa messianica nel popolo. Giovanni il Battista nega di essere il Cristo e presenta sé stesso e la sua missione come orientati alla venuta imminente di uno più forte, che sarebbe arrivato dopo di lui e la cui dignità era talmente alta che egli non si reputava degno di compiere per lui nemmeno l’umile servizio di sciogliere i sandali, considerato così degradante che la successiva tradizione rabbinica vieterà di praticarlo a uno schiavo ebreo.

Il battesimo amministrato da Giovanni e la conversione da lui predicata sono in preparazione al battesimo in Spirito Santo e fuoco che il più forte avrebbe inaugurato. Queste parole del Battista sono state spesso interpretate non solo alla luce del racconto della Pentecoste, in cui lo Spirito discende sotto forma di lingue di fuoco, ma anche come la purificazione che il più forte avrebbe operato in qualità di Messia e Figlio di Dio. Nella tradizione giudaica, infatti, l’effusione dello spirito di Dio e una purificazione per mezzo di esso erano attese per la fine dei tempi. Inoltre, anche il fuoco è spesso inteso come strumento di purificazione e immagine per il giudizio finale.

Il paragone contadino (v. 17) conferma questa prospettiva: come il contadino lanciava per aria il grano, per far sì che volasse via la paglia che si trovava in mezzo a esso (la pula), così il battesimo in Spirito Santo e fuoco portato dal più forte sarebbe servito a vagliare gli uomini, sancendo una divisione tra quanti accoglieranno questa figura e quanti la respingeranno.

“Che cosa dobbiamo fare?”

Una domanda semplice, concreta, che rivela la disponibilità a cambiare. E’ il segno che il cuore, il centro dell’esistenza, è rimasto veramente colpito dalle parole e dalla testimonianza del profeta Giovanni il Battista. Essa ci chiede una rinuncia e una condivisione: rinuncia al superfluo, al troppo ingiustamente sottratto a chi manca del necessario. Ci chiede onestà e trasparenza; di abbandonare ogni forma di violenza, di sopruso, di strapotere, che opprime e soffoca la libertà e la dignità delle creature di Dio. Ci chiede di accontentarci di quello che abbiamo, senza innescare una pericolosa spirale di manifestazioni di forza.

La risposta di Giovanni Battista è semplice e va all’essenziale; forse qualcuno di noi si sarebbe atteso di recitare una preghiera in più, di compiere qualche rito particolare di purificazione, di sottoporsi a un digiuno molto severo. No, il Battista chiede solamente di spartire il cibo e il vestito per sfamare e ridare dignità a chi subisce il marchio della miseria; di seguire la strada della legalità e della giustizia, e ci ricorda che i diritti degli uomini e donne sono i diritti di Dio.      

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Filannino, 2021; Laurita, 2021.

Redazione

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