Corpus Domini
Il pane vivo disceso dal cielo
La finale del grande discorso sul pane di vita del Vangelo di Giovanni (6, 51-59) è il vangelo della festa del Corpus Domini per l’anno A. Le ragioni che hanno determinato la scelta ci paiono evidenti: le allusioni ai racconti dell’istituzione dell’eucaristia sono tanto numerose e così manifeste da non mettere in dubbio l’interpretazione eucaristica tradizionale di questo brano. Anzi tutto il capitolo sesto del vangelo di Giovanni viene definito come il “discorso eucaristico” di gran lunga più ampio di tutto il Nuovo Testamento. Questo capitolo costituisce, nel suo insieme, un esempio classico del genere della parabola, così come viene usata da Giovanni: Gesù pronuncia una formula profonda, enigmatica, immaginosa o metaforica; gli ascoltatori fraintendono il vero senso delle parole; alla fine Gesù spiega. Il famoso “equivoco giovanneo” gioca in questo contesto un ruolo essenziale. Permette a Cristo di spiegarsi, di rivelarsi meglio, sebbene le sue parole diventino sempre più misteriose e “scandalizzino” sempre più i suoi uditori e costringendoli infine a prendere posizione per o contro di lui, a rifiutare orgogliosamente il suo messaggio o ad accettarlo con una fede umile e fiduciosa.
Dopo una serie di domande-trabocchetto dei Giudei e di risposte di Gesù che porta i suoi uditori ad irritarsi e a mormorare, il Maestro non esita a spingere lo scandalo fino in fondo affermando che è lui il pane vivo, e il pane che egli darà è la sua carne per la vita del mondo. Viene allora l’ultima obiezione dei Giudei: “Come può costui darci la sua carne da mangiare? (v. 52). Gesù risponde:” Se non mangiate la carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (v. 53). Suona l’ora del “giudizio”, della separazione definitiva tra i veri discepoli e quelli che non vogliono credere. Nello stesso momento in cui la luce del mondo si rivela in pieno, si manifestano chiaramente l’ostinazione e l’accecamento volontario dei Giudei.
Cristo è il pane della vita che discende dal cielo, poiché il Figlio dell’Uomo si dona ai suoi come un vero cibo e una vera bevanda: qui il mistero eucaristico raggiunge il vertice dello scandalo per i Giudei! Gesù si rivela come il pane della vita in tutto quello che fa, in tutta la sua attività messianica. Ma si afferma come tale, in modo del tutto particolare, nell’eucaristia, che si offre a noi come il simbolo e il segno efficace del Cristo salvatore. In nessun’altra parte Cristo è pienamente e tangibilmente ciò che è, quanto sotto le specie eucaristiche, sicché dobbiamo vedere nell’eucaristia il sacramento per eccellenza di Cristo, pane di vita.
Gesù, la vera manna (v. 58). “Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono”. Gesù è la vera manna, superiore sotto ogni aspetto alla manna giudaica: è un dono del Padre stesso, e chi la mangia non avrà mai più fame né sete, perché essa resta per la vita eterna. L’antica alleanza non era che un’ombra e una pallida prefigurazione: il nuovo mette in fuga l’antico, la verità fuga l’ombra, il giorno elimina la notte.
Il pane della vita (v. 51). L’idea della vita sta alla base di tutta la teologia di Giovanni. Tuttavia il concetto di vita e di vita eterna che incontriamo nel vangelo di Giovanni non risulta affatto nuovo. Nell’antico testamento la vita era considerata come il bene supremo, la sintesi di tutti gli altri beni; la morte, al contrario, come la più grande calamità. E’ Dio che crea e dà questa vita; e la promette lunga e felice qui sulla terra a coloro che obbediscono alla sua Legge. Due secoli prima di Cristo affiora una nuova idea della vita: una vita distinta dalla vita terrena, che non verrà più distrutta dalla morte e che continuerà per tutta l’eternità. Nel libro della Sapienza, questa vita eterna è la ricompensa promessa ai giusti, allorché nel giorno del giudizio gli empi si vedranno confusi dalla vanità e dalla perversità intrinseche di tutto ciò che avranno compiuto sulla terra.
Perciò all’epoca di Cristo, i Giudei pii attendevano da Dio non più tanto un’esistenza lunga e felice nella terra promessa, ma la retribuzione delle loro buone opere nella vita eterna in cui li avrebbe introdotti la salvezza del Messia. Nei vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) la vita eterna è identificata al Regno dei cieli. Ma nel vangelo di Giovanni, la vita eterna che Cristo ci dona è il dono messianico per eccellenza. Gesù stesso è la vita, come afferma solennemente alla sorella di Lazzaro, di fronte alla morte del fratello. Questa vita eterna sarà data al momento della risurrezione. La vita promessa a quelli che mangiano la manna celeste (l’eucaristia) non è dunque ciò che noi chiamiamo la vita della grazia qui sulla terra, ma la vita dopo la morte, come se l’aspettavano i Giudei: essa è il farmaco dell’immortalità (Ignazio di Antiochia).
Gesù, pane di vita nell’eucaristia
Se è vero che Gesù è pane di vita in tutto quanto fa, lo è in maniera speciale e privilegiata nel sacramento dell’eucaristia. Quest’ultima diventa perciò il sacramento dell’unione del fedele con Cristo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (v. 56). Il senso dell’espressione è chiaro: significa il legame stretto, anzi unico, che si stabilisce tra Cristo e il credente. Cristo si unisce così intimamente ai suoi discepoli, che la loro unione può paragonarsi solo a quella del Figlio con il Padre. Beninteso, questa unione non si realizza affatto in modo automatico. Occorre che l’uomo aderisca liberamente e con tutto il cuore al suo Salvatore, bisogna che creda. Simbolo efficace della vita che il Figlio dell’Uomo ci porta, la comunione eucaristica si rivela indispensabile al cristiano quanto la fede stessa. In questa unione sacramentale, si esprime e si nutre la nostra fede. L’eucaristia non è unicamente un ricordo del passato (il memoriale della morte di Cristo), e un pegno per la salvezza futura al momento del ritorno glorioso del Signore, ma è soprattutto, presenza attiva del Salvatore stesso.
L’evangelista Giovanni vuole farci capire che nell’eucaristia riceviamo sempre la pienezza della salvezza messianica. Gesù esercita tutta la sua attività salvifica in questo che è il sacramento del Cristo vivente in mezzo a noi. Comprendiamo allora come la disaffezione di molti cristiani verso l’eucaristia è disaffezione, disamore verso Gesù, vivo, reale, presente nel sacramento del suo corpo e sangue ! Non solo, è segno anche di disaffezione verso la celebrazione della Santa Messa, mensa della Parola e del Pane di vita: memoriale di un sacrificio, il cui sangue prezioso ci lava, ci salva, ci rende beati già su questa terra.
Bibliografia consultata: Vanneste, 1971.