Religione

Correzione fraterna nella chiesa

Cercare il fratello perduto

I discepoli di Gesù formano una comunità di piccoli, di fratelli e sorelle che si accolgono e perdonano (Mt. 18, 15-20). Il nostro testo è preceduto immediatamente dalla parabola del pastore che cerca la pecora smarrita. Dio viene proposto come modello e fonte della sollecitudine pastorale nella ricerca dei piccoli. Il nostro brano rappresenta l’applicazione ecclesiale del comportamento del buon pastore.

In apertura si enuncia il caso che richiede l’intervento sollecito della comunità: “Se il tuo fratello commetterà una colpa…” (v. 15). Quindi si elencano tre interventi in crescendo, a tre diversi livelli. Prima l’ammonizione interpersonale a quattrocchi; poi la discussione del caso in presenza di due o tre testimoni, infine il dibattito davanti all’assemblea della comunità locale.

Lo scopo di questa procedura è quello di ricuperare il fratello colpevole. Solo alla fine, dopo aver esaurito tutti i tentativi per far rientrare nell’ambito della comunità colui che ha commesso una colpa, questi può essere considerato come “il pagano e il pubblicano” (v. 17), cioè escluso dalla comunità.

L’appellativo “fratello” per indicare il membro deviante della comunità pone in rilievo fin dall’inizio il clima di solidarietà che qualifica la correzione al suo interno. I membri della comunità ecclesiale sono figli del Padre celeste, il quale si prende cura dei più piccoli, perché non si perdano. Questa sollecitudine pastorale di Dio, che Gesù ha rivelato e reso presente con le sue scelte di solidarietà a favore dei peccatori, si prolunga nella comunità cristiana.

I discepoli di Gesù sono fratelli perché egli li ha associati al suo statuto filiale e li chiama “miei fratelli”. Gesù risorto si preoccupa di ristabilire le relazioni fraterne con i discepoli dopo la loro crisi nella notte dell’arresto (Mt. 28, 10).

Il compimento della legge

La prassi della correzione fraterna del testo evangelico ha i suoi precedenti nelle prescrizioni del codice di santità del libro del Levitico (19, 17-18). Gesù riprende questa tradizione biblica nel discorso della “montagna” proponendo la “sua giustizia sovrabbondante”, che i discepoli devono attuare nella riconciliazione fraterna. La “giustizia” che dà compimento alla legge e ai profeti è l’amore del prossimo, che ha la sua verifica nell’amore del nemico sul modello del Padre celeste.

Se infatti i discepoli amano solo i loro amici e salutano solo i loro fratelli, non fanno nulla di più di quello che fanno anche i pubblicani e i pagani. Essi invece sono figli del Padre celeste e ne riproducono l’amore nei loro rapporti con gli altri. Questo vale anche all’interno della comunità nel caso di un fratello che commette una colpa grave.

La comunione cristologica

“In verità: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (vv. 19-20).

La preoccupazione di fondo è quella di ristabilire il tessuto delle relazioni fraterne senza compromessi. Dunque l’impegno a recuperare il fratello peccatore è connesso con questo statuto teologale e cristologico della comunità dei fratelli. Solo quando la comunità ha ritrovato al suo interno la concordia, può rivolgersi al Padre celeste con la piena fiducia di essere ascoltata, perché allora Gesù, il Figlio e il Signore, è presente tra i suoi fratelli.

Amore e legge nella comunità

Il testo sulla correzione fraterna appare duro, soprattutto con quella decisione sanzionata dall’autorità dell’assemblea: “Sia per te come il pagano e il pubblicano” (v. 17). Questa soluzione severa sembra contraddire lo stile “misericordioso” di Dio rivelato e attuato da Gesù. Egli infatti per le sue scelte di solidarietà compassionevole si è fatto la fama di essere “amico di pubblicani e peccatori”.

Ciò che guida la correzione fraterna nella chiesa di Cristo deve essere l’amore per i fratelli e le sorelle che sbagliano. Che siano fissati dei criteri di appartenenza ecclesiale, non vuol dire che sia limitato anche l’ambito dell’amore del prossimo e soprattutto quello della misericordia di Dio. Il fratello o la sorella esclusi dalla comunità continuano a essere oggetto dell’amore misericordioso del Padre celeste che ama e benefica tutti, senza distinzioni tra buoni e cattivi, tra giusti e ingiusti. Parimenti anche quelli che vogliono essere figli del Padre celeste, continuano ad amare e a fare del bene anche a quelli che non fanno parte della comunità dei fratelli.

La carità alla prova

Non è facile vivere da fratelli. Al di là delle buone intenzioni e delle belle dichiarazioni, prima o poi arriva il momento in cui bisogna affrontare dei conflitti e dei contrasti. Comportamenti che feriscono, una parola di troppo, qualche volta anche un tono di voce che fa intuire arroganza e disprezzo: basta poco per mettere in pericolo la comunione. C’è allora a disposizione una strada larga, che viene imboccata con tutta facilità. E’ la strada delle lamentele, della maldicenza, della critica. Ma non è questo il percorso che propone Gesù.

Siamo pronti a prendere sul serio un percorso in cui ai giudizi netti, alle sentenze perentorie, si sostituisce la pratica dell’incontro, dell’ascolto e del dialogo? Se ci sta a cuore la comunità a cui apparteniamo, sì. Se la riteniamo semplicemente una realtà tra tante, allora probabilmente no! Allora tutto perde senso, anche il ritrovarci insieme nella santa assemblea dell’eucaristia, anche la presenza del Signore che ci viene assicurata quando siamo radunati “nel suo nome”.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: SdP, 2023; Laurita, 2023.

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