Credo che la drammatica vicenda di Corso Francia corra il rischio di restare inascoltata e doppiamente inutile se non troviamo un canale per comunicare con i nostri giovani. I ragazzi ci chiamano, gridano, ci strattonano per essere visti, per essere notati nel loro bisogno di profondità, di amore e di essenzialità. Gli adolescenti sono carichi di meraviglia ma anche di terrore e di desideri eroici, sono gravidi di pensieri grandiosi e spaventosi.
Il valore del sesso in loro, che è eros, relazione, calore, unione umana, viene vissuto in modo inconsapevole come altre cose e come sfide, precludendosi il sapore e la gioia profonda dello stare insieme. Noi siamo sordi al romanticismo dei giovani, non accogliamo la loro ribellione e così loro cercano modi ancora più rischiosi per attirare la nostra attenzione. La loro roulette russa è una richiesta di maggiore percezione di se stessi tramite noi, e spesso è autolesionista. Noi adulti siamo sconfitti perché non riusciamo a trasmettere loro la voglia di vivere ma cerchiamo invece di anestetizzarli, come anestetizzati come siamo noi. Forse in questo si somigliano, anche se con dispari responsabilità, il ragazzo alla guida e le ragazze investite.
Vorrei fare anche una riflessione senza perbenismi sul contesto in cui è avvenuto l’incidente.
Si parla molto di questa terribile storia anche per via dell’ambiente sociale che non è quello della periferia o dei quartieri “problematici”, ma Roma Nord, una zona che io chiamo del “vorrei ma non posso”. Un’area centrale, quella di Corso Francia, che però non coincide con quella del quartiere Parioli; un ambiente di palazzoni quasi senza piazze, di condomini chiusi, priva quest’anno di addobbi natalizi e i cui centri di aggregazione sono solo i centri commerciali; un teatro di gente per bene ma un po’ freddo che è esploso di pietà e rabbia solo in questi giorni. Perciò forse non stupisce che non si voglia aprire un dibattito sulla vicenda ma solo difendersi da scandalo e proteggere il proprio status. Corso Francia è frequentata giorno e notte, ma ora sulle informazioni utili alle indagini, prevalgono le denunce per difendere l’immagine, insomma secondo me c’è un clima di “omertà” per scomodare un termine forte.
Alcuni commenti sui social, inoltre, impediscono di capire le informazioni reali sulla vicenda. Il quartiere di coloro che aspirano al salto sociale si chiude anche alla possibilità di riflettere e argomentare su ciò che è successo e in qualche modo di farne almeno un insegnamento. Il dibattito non sottrae il dolo immane e irreversibile alle vittime e ai famigliari, ma almeno ci da la possibilità di responsabilizzarci. Tuttavia a mio parere, si ha il timore di perdere il privilegio dell’immagine.
Oggi spesso si sfugge da responsabilità sociali e genitoriali, ma sappiamo tutti che molti ragazzi escono di notte a rischiare la vita e a correre sulle loro macchine e soprattutto macchinette. La nostra coscienza collettiva è chiamata a riflettere su questa vicenda che riguarda le generazioni di adolescenti oggi. Il dibattito non discute sulle responsabilità dell’incidente, cosa che compete ai pm, ma sulla condizione più ampia che riguarda i nostri ragazzi.
*di Antonio Guidi, già Ministro della Famiglia
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