Cosa significa diventare “assistente sessuale” per disabili
“La figura esiste già in altri paesi europei e negli Usa, ma è equiparata a quella di una prostituta”. E in Italia, invece?
Anna, 33enne di Mestre, è una fotografa dal percorso lungo e variegato: ha una laurea triennale in Filosofia a Venezia, un corso post lauream in Bioetica a Padova e una laurea magistrale (sempre in Filosofia) abbandonata a soli quattro esami dalla tesi.
Ma oltre a tutto questo, è una delle pochissime persone (circa una ventina) che da ottobre, in tutta Italia, sta seguendo il corso per diventare assistente sessuale alle persone con disabilità, una “Love giver”, come previsto da un disegno di legge depositato in Senato da aprile 2014 e che è ancora lì in fase di stagionatura per diversi motivi.
La figura, dalla professionalità complessa e delicata, deve essere dotata di molta empatia e di una buona dose di preparazione. Gli aspiranti love giver (sia uomini che donne, etero e omosessuali, provenienti da ogni parte d'Italia), infatti, vengono selezionati per partecipare al corso di formazione (teorico-pratica) e al termine dello stesso devono superare un esame abilitante; alla fine di questo percorso, sono tenuti a iscriversi a un albo a cui potranno attingere le famiglie o i singoli disabili. Previo pagamento, ovviamente.
Ma cosa significa, nel dettaglio, essere un’assistente sessuale per disabili? Anna, raccontando la sua attività a Il Gazzettino, non ha aiutato a chiarire di molto la differenza tra questa attività e… Qualcos’altro: “La figura esiste già in altri paesi europei e negli Usa, ma è equiparata a quella di una prostituta”. Per l’appunto. Però “In Italia si vuole scavalcare questo concetto formando figure professionali pronte ad educare i disabili alla corporeità e all'affettività”.
Educare alla corporeità e all’affettività, quindi. Ma cosa significa nel dettaglio? Che questi educatori/educatrici spiegheranno solo alcune cose col fine di migliorare nelle persone diversamente abili il rapporto con la propria sessualità? O… Si adopereranno anche “praticamente” per soddisfare le carenze “affettive” degli assistiti?
Beh, Anna lascia ben pochi dubbi: “Non si pensa ad un rapporto completo, il limite massimo imposto è la masturbazione. Un disabile fisico viene continuamente toccato per ogni bisogno fisico, escludere solo l'area genitale per questioni etiche. È ipocrisia anche perché in alcuni casi la sensibilità comporta una funzione sessuale diversa”.
Un parallelismo, quello tra l'attività del “love giver” e la prostituzione che sarà pure errato, ma che… Al momento appare davvero come inevitabile.
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