Altro rinvio. Questa volta al 3 maggio. Dopo di che…
Dopo di che non si sa. La giustificazione, o la scusa, è la solita: l’emergenza continuerà fino a quando i consulenti scientifici del Governo non riterranno di aver raggiunto il loro obiettivo. E la prima domanda, enorme, è già insita in questo: il loro obiettivo di tecnici coincide oppure no con il nostro di cittadini, intesi come la stragrande maggioranza della popolazione?
Diciamolo in maniera più esplicita: il risultato ideale (o piuttosto ideal-astratto, ideal-visionario, ideal-delirante) di una riduzione a zero del contagio del Covid-19 è compatibile con le esigenze di tutti quelli che sono a basso o infimo rischio di ammalarsi gravemente, o addirittura di morire? È compatibile, soprattutto, nel caso in cui non ci si limiti a un periodo ragionevolmente breve di sospensione delle consuete e vitali attività e relazioni?
“Ideale” suona bene. Ma funziona male. Malissimo.
E la cosa più strana, paradossale, sospetta, è che l’intero sistema economico e politico in cui viviamo è imperniato proprio su questa contrapposizione tra le affermazioni di principio e le necessità concrete. A tutto vantaggio delle seconde. Le prime, invece, vengono puntualmente accantonate non appena confliggano sul serio con i ritmi e gli scopi dell’apparato generale di produzione e consumo.
Quando prevale l’ipocrisia si mostra di farlo a malincuore: ci piacerebbe agire diversamente, però non è possibile. Quando viene fuori la brutalità autentica si diventa sprezzanti: sono i costi del progresso. Del benessere materiale. Della crescita infinita.
I costi, appunto.
Per esempio: l’inquinamento dei motori a scoppio e delle lavorazioni industriali che usano e abusano delle sostanze chimiche è nocivo alla salute? Certo che lo è. E direttamente o indirettamente causa moltissimi morti. Ma queste sue conseguenze negative, e tragiche, vengono considerate da sempre come una ripercussione pressoché inevitabile. Sai com’è: ci sono i vantaggi e gli svantaggi… I vantaggi della tecnologia onnipresente e del consumismo sfrenato, dal lusso autentico per chi se lo può permettere ai ripieghi low cost per chi si deve accontentare. Gli svantaggi di stili di vita che sono palesemente innaturali e nevrotizzanti, e che tuttavia non solo si perpetuano ma si vanno facendo ancora più frenetici e spietati, in nome della competizione globale.
Nel caso del Covid-19 queste incessanti rivendicazioni di pragmatismo – che è il modo elegante e manageriale di definire il cinismo – si sono bizzarramente rovesciate in una smania di tutela della salute pubblica. In una corsa forsennata a limitare il numero dei morti. In una sorveglianza capillare e minacciosa da Stato di polizia.
Sorvolando però sui terribili contraccolpi a danno dei vivi. I contraccolpi che si sono già manifestati. Quelli, ancora più gravi e drammatici, che si prospettano per il futuro.
Vivere è vivere. Non sopravvivere. Così come essere cittadini responsabili, capaci di sobbarcarsi le rinunce davvero necessarie, non equivale affatto a lasciarsi trasformare in sudditi passivi, che si sottomettono a qualsiasi genere di imposizione.
E che magari ne sono anche grati, nelle loro testoline addomesticate e nei loro cuoricini impauriti, come pecorelle belanti e terrorizzate dall’idea dei lupi. Pecorelle riconoscenti ai loro guardiani, per essere “tutelate” in maniera così rigorosa. Benché sia un po’ difficile pensare che agiscano così soltanto per buon cuore, dopo che per decenni e decenni hanno dato chiarissima dimostrazione di essere interessati innanzitutto alla tosatura del gregge.
Vivere è vivere liberi, assaporandone i doni e accettandone i rischi. Non sopravvivere da segregati agli arresti domiciliari, nel prolungato timore di un contagio a dir poco improbabile.
Queste differenze sono fondamentali e dovrebbe averle ben chiare ciascuno di noi. Ma ancora più chiare dovrebbe averle chi pretende di comandarci a bacchetta. Dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte a quelli delle Regioni. Dalla ministra dell’Interno Lamorgese all’ultimo degli addetti all’ordine pubblico.
La vita umana, per rimanere umana davvero, consiste nell’espandere la propria energia e nel farla interagire con le altre persone e con le innumerevoli cose del mondo, vive o no che esse siano.
Ciò che ci viene imposto, per ora fino al 3 maggio e dopo chissà, è agli antipodi di questa pienezza. E una popolazione sana e vitale non può lasciarselo imporre a tempo indeterminato.
Siamo sotto assedio? Amen. Usciamo dalle nostre tane e combattiamo a viso aperto. Qualcuno morirà ma la stragrande maggioranza no.
La stragrande maggioranza riprenderà in mano la sua vita. E ancora meglio se poi, con l’occasione, si renderà conto di quante altre limitazioni più o meno assurde, e a loro volta disumane, ci vengono imposte per produrre come automi e consumare come ossessi. Per immolare le nostre esistenze “a maggior gloria” del Pil.
In linea, guarda caso, con le direttive impartite da quegli stessi che oggi ci hanno ingabbiati in maniera così odiosa.
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