In Europa c’è un Primo Ministro che, in virtù di un autoproclamato stato di emergenza nazionale, governa a colpi di decreti comprimendo libertà come quelle di circolazione o di impresa, tratta il Parlamento alla stregua di un passacarte o uno stenografo, mina il diritto di opinione col pretesto di contrastare fake news sul coronavirus e, dulcis in fundo, rinvia le elezioni locali. E tutto questo, si badi, non accade nella illibevale e autovitavia Ungheria, bensì nella civilissima Italia.
Sia chiaro, il bi-Premier Giuseppe Conte è perfettamente legittimato a farlo, così come lo sarebbe il suo omologo magiaro Viktor Orbán: lo spauracchio (che però, ops, ha l’avallo delle Camere di Budapest) che tanto agita le ossessioni pavloviane di quanti scorgono inesistenti fascismi di ritorno ovunque.
Ogni tanto, però, perfino l’esecutivo rosso-giallo deve rendersi conto di star tirando troppo la corda, e allora si produce nei due sport in cui eccelle (discipline prive di assembramenti, of course): l’arrampicata sugli specchi e il lancio del sasso con occultamento della mano.
È successo anche con Immuni, l’app di contact tracing (l’italiano “tracciamento” probabilmente era troppo comprensibile) scelta dal Governo per contrastare l’eventuale seconda ondata di epidemia (e già ribattezzata dai social AppEstate), mediante una tecnologia pensata per avvertire chiunque sia venuto a contatto con un contagiato affinché possa sottoporsi ai controlli del caso. Fin qui niente di strano, infatti il problema era il mezzo, scarsamente giustificabile – per usare un eufemismo – dal pur nobile fine.
È stato infatti calcolato che, per essere efficace, Immuni dovrebbe essere scaricata almeno dal 60% di una popolazione che, notoriamente, non è molto a suo agio con le innovazioni anche per ragioni anagrafiche. Per questo motivo, era stato fatto trapelare che, pur non essendo obbligatorio scaricare l’app, chi non lo avesse fatto avrebbe subìto forti limitazioni negli spostamenti.
Un’ipotesi vergognosa perché si sarebbe tradotta in un ignobile ricatto mascherato da facoltà di scelta – e non certo in un incentivo come lasciato intendere da qualche corifeo mediatico. Infatti l’esecutivo ha aspettato di capire quali reazioni avrebbe suscitato il rumour, per poi fare una precipitosa retromarcia quando, com’era ampiamente prevedibile, c’è stata una levata di scudi: e non solo dalle opposizioni.
«La nostra libertà non è in vendita» ha twittato, per esempio, il leader leghista Matteo Salvini. Ma anche un partito di maggioranza come il Pd ha espresso delle perplessità legate soprattutto alla prospettiva di adottare Immuni senza un coinvolgimento del Parlamento. Dubbio condivisibile – specialmente alla luce del fatto che, in pratica, l’unica forza politica a non averlo palesato è il M5S, le cui posizioni sono sempre una cartina al tornasole inversamente proporzionale: ma verosimilmente troppo tecnico e poco appassionante per gli Italiani (per la cronaca, comunque, pare che alla fine un passaggio parlamentare si terrà).
Bipartisan, invece, è stata la preoccupazione per la tutela dei dati sensibili degli utenti. Vero è che, come evidenziato dall’epidemiologo Gianni Rezza, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, «la nostra privacy è finita da tempo. Quando apro il mio telefono vedo che lui sa già qual è il mio ristorante preferito, poi mi chiede se voglio comprare di nuovo le cose che ho comprato qualche giorno prima».
Ha perfettamente ragione, infatti la questione è ben diversa. E riguarda l’etica di un Governo che, a quanto pare, pensa di poter ricorrere a subdoli mezzucci per dare ai cittadini l’illusione di prendere decisioni in realtà imposte. Ma per i diversamente intelligenti il problema è Orbán.
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