Cronaca

Covid-19, storia di un ricovero in ospedale raccontata da un nostro lettore

Il nostro lettore Goffredo Martini racconta a Il Quotidiano del Lazio la sua esperienza personale legata al Covid-19.

Una disavventura che comincia a dicembre 2020

“Voglio raccontare la cronistoria di un contagio da coronavirus che, fortunatamente, si è risolto per il meglio. Nei primi giorni di dicembre 2020, da venerdì 4, ho avuto febbre appena sopra i 37 gradi, con una tosse non persistente. Pertanto ho chiamato i numeri consigliati, ma nessuno mi ha veramente aiutato, in quanto chiedevano se volevo l’ambulanza, come se dovessi scegliere io come essere aiutato. Ho preso un farmaco per abbassare la febbre e comunque non avevo altri sintomi. Lunedì 7 ho chiamato il mio medico curante che telefonicamente mi ha prescritto dei medicinali specifici per un’influenza e mi ha prenotato un tampone da effettuare il giorno 10 Dicembre.

Comunque la sera dell’8 Dicembre la febbre è salita a 39 gradi e a quel punto i miei familiari hanno chiamato il 118. In poco tempo è arrivata l’ambulanza e il personale addetto ha consigliato il ricovero. Appena arrivati all’ospedale mi è stato fatto immediatamente un prelievo di sangue e un tampone molecolare. Il personale del 118 , nonostante fosse già l’ora di fine servizio per loro, si è allontanato solo dopo queste operazioni. Sono stato ricoverato e già durante la notte mi è stata fatta una Tac ai polmoni che ha evidenziato un’infezione abbastanza estesa al polmone sinistro. Nella mattinata è arrivato il responso del tampone che è risultato positivo e così nel pomeriggio sono stato trasferito in un reparto di medicina generale convertito in reparto Covid.

Il pericolo si estende a tutti i familiari

A quel punto è stato necessario che tutti i miei familiari, anche non conviventi, ma a mio stretto contatto, facessero anche loro il tampone. Che è risultato positivo per tutti, cioè per mia moglie e mia figlia, conviventi e l’altra mia figlia con il marito e una figlia dodicenne. I primi giorni di ricovero sono stati duri, anche dal punto di vista psicologico. Mi sentivo responsabile della positività dei miei familiari. E anche se da casa mi dicevano che non avevano sintomi, avevo sempre il dubbio che lo dicessero per farmi stare tranquillo.

Come prima cura specifica mi è stato somministrato del cortisone. Quando l’infezione ha iniziato a regredire è iniziata la cura con antivirale specifico ed un un antibiotico. Comunque, anche se ero completamente autonomo, sentivo un assoluto affaticamento. Tanto che dopo circa una settimana, quando ho deciso di radermi la barba, l’ho dovuto fare in più riprese. Non riuscivo a stare in piedi per più di qualche minuto. I medici e tutti gli operatori cercavano di alleviare anche il disagio psicologico. Ormai sanno che tutti i ricoverati subiscono un disagio psicologico per questo maledetto virus. Inoltre, avendo io anche dei problemi cardiologici, preesistenti al virus, sono stato curato anche per questo.

Ho provato l’ebbrezza dell’ossigeno

Mi hanno curato così bene che penso sia stata debellata la mia fibrillazione atriale, che al momento è scomparsa. Dopo alcuni giorni i medici hanno ritenuto opportuno mettermi l’ossigeno, in quanto avevo una saturazione non ottimale. Dopo venti giorni dal ricovero mi viene comunicato che verrò dimesso. Dicono che non avendo più sintomi specifici né bisogno di ossigeno, non c’era più bisogno che rimanessi in ospedale. Io sono rimasto sorpreso perché non si sapeva se fossi ancora positivo o lo fossero i miei familiari, che proprio in quel giorno avrebbero fatto l’ennesimo tampone. Alle mie perplessità decidono di farmi un nuovo tampone, risultato negativo. Così in seguito ad un un ulteriore tampone negativo sono stato dimesso.

Sono stato portato a casa dall’ambulanza del 118. Il 30 Dicembre, dopo 22 giorni, sono tornato finalmente a casa. Ma con mia moglie ancora positiva sono dovuto rimanere in quarantena, che è finita il 7 gennaio scorso, in seguito finalmente, alla negativizzazione di mia moglie. Ancora oggi, a distanza di un mese dalle mie dimissioni, ogni tanto riaffiora la stanchezza. In tutto il periodo del ricovero l’unica cosa che ti tiene in contatto con il mondo esterno è lo smartphone, sia per i contatti con amici e familiari che per leggere notizie, in quanto si è chiusi in una stanza senza possibilità nemmeno di affacciarsi alla porta”.

Redazione

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