Chef Tomei: “Alberghiero scuola inferiore? Cazzata, la pasta al pomodoro è come un monumento”
Lo chef e personaggio televisivo: “Il cibo in Italia è cultura. Credo che il mio mondo debba farsi un’esame di coscienza”
Il concetto fondamentalmente era stato già trattato e discusso in un nostro precedente articolo. Ma cogliendo la palla al balzo abbiamo voluto approfittare per fare due chiacchiere con Cristiano Tomei, chef e personaggio televisivo, patronne del ristorante “L’ Imbuto“. Lo abbiamo intervistato per comprendere come mai determinati indirizzi scolastici, professionali, vengano in qualche modo denigrati e ritenuti non all’altezza di altri percorsi di studio.
Gli istituti alberghieri e professionali in genere, sono ritenuti inferiori. Lei cosa ne pensa?
“E’ un’enorme cazzata (ride ndr). Quando si parla di gastronomia e di accoglienza in Italia si parla di una fetta di cultura importantissima. E’ l’ora di smetterla di parlare di cibo perché va di moda. Il cibo in Italia è cultura. Da millenni, non da poco. La nostra meravigliosa penisola è uno scrigno culturale che è il processo di una storia profondissima di contaminazioni culturali continue”.
Partiamo da epoche antichissime…
“Certo. Gli Etruschi per esempio già facevano il prosciutto crudo e fermentavano le cose per conservarle. I Romani sono stati contaminati da tutti i popoli che hanno conquistato. Noi abbiamo una ricchezza unica nel bacino del Mediterraneo che va difesa culturalmente. Una pasta al pomodoro è come un monumento. Questo va insegnato nelle scuole, dall’asilo in poi. L’alberghiero non è secondo a nessuno. Perché di fatto insegna a preservare la cultura di un Paese come il nostro. Dove la cucina non è una cosa marginale”.
C’è anche una sviluppata letteratura a riguardo…
“Naturalmente. Gli antichi Romani mangiavano per il piacere di mangiare. Questo è un concetto che è arrivato in Francia al termine del 1700, con la cuisine. Ma già in epoca romana possiamo leggere di Petronio, quando componeva il suo Satyricon, all’interno del quale figurava Trimalcione che invitava la gente a mangiare a casa. Con menu degustativi a sorpresa. Queste cose vanno insegnate ai ragazzi, e tutto ciò va fatto in maniera profonda, non con leggerezza“.
Possono essere cambiati alcuni metodi didattici, secondo lei?
“Probabilmente sì. Magari utilizzando metodi e linguaggi contemporanei, per esempio il fumetto. Una scuola come l’Istituto Alberghiero deve fare questo. E non solo per la cucina, ma anche per l’accoglienza. Noi siamo un popolo abituato ad accogliere, a far star bene le persone. I nostri turisti sono assolutamente coccolati e lo standard nostro è altissimo. Per questo gli istituti, i docenti, vanno difesi con i denti. E incentivati”.
In che modo secondo lei?
“Nei primi due anni non si dovrebbe fare né cucina, né servizio, né ricezione alberghiera. I primi due anni si dovrebbe studiare storia, italiano, inglese e francese. Questo per formare e per capire il talento dei ragazzi”.
I ragazzi hanno difficoltà nel mondo del lavoro, lei che idea si è fatto?
“Io penso che il mio mondo si debba fare un bell’esame di coscienza. Prima della tragedia mondiale del covid era un po’ un mondo che parlava solo con se stesso. Il mio, il nostro, è un mondo complicato. Ai ragazzi che scelgono di fare questo lavoro va ricordato che non è un lavoro come gli altri. Nel modo più assoluto. Questa è una strada difficile, dove bisogna mettersi a disposizione degli altri. Noi lavoriamo per far star bene gli altri, ciò dunque implica anzitutto una grande preparazione da parte di chi deve tramandare questo lavoro. E’ una preparazione umana, che si basa sul rispetto nei confronti del prossimo”.
Ci faccia un esempio…
“Nelle cucine per esempio, non si deve urlare, si deve spiegare perché una cosa va o non va fatta. Questo è molto importante, perché i ragazzi vanno stimolati e rispettati. Il mio ristorante è chiuso due giorni alla settimana. Perché i ragazzi devono avere una vita oltre al lavoro, si devono riposare. E il rispetto passa anche dalla soddisfazione economica. I ragazzi non vanno sottopagati. Servirebbe che i nostri governanti avessero anche un occhio di riguardo nei confronti degli imprenditori del lavoro. Il mio ristorante è di mia proprietà. La tassazione del lavoro dovrebbe cambiare o quantomeno tener conto di ogni tipologia di lavoro”.
“E’ una cosa utopica, ma ciascun lavoro ha un approccio diverso. Perché per esempio, le classiche otto ore canoniche, non sono facilmente rispettabili all’interno di un ristorante. Ci sono dimensioni temporali differenti. Chi viene da noi a imparare deve essere retribuito, ma è necessario che comprenda che determinate cose avvengono per step. Io ho fatto il ragazzo di bottega. Bisogna avere sempre il rispetto nei confronti di chi dona qualcosa, senza la presunzione di essere già in grado di sapere tutto. Io credo che i ragazzi giovani che ci sono ora nel mondo del lavoro siano eccezionalmente bravi“.