Ancora un crollo di un edificio a Roma. Stavolta è toccato a un edificio del Lungotevere Flaminio nel II Municipio. E se stavolta non ci sono stati né morti né feriti è solo grazie ad alcune circostanze fortunate. Innanzitutto la tempestività dell'intervento dei Vigili del Fuoco di Roma, la cui professionalità e capacità è ormai ampiamente sperimentata, e l'allerta nella quale già vivevano i condomini dell'edificio.
Pare infatti che ci fosse già un balcone puntellato sul fronte interessato dal crollo e che ci fossero in corso lavori di ristrutturazione di due appartamenti che erano stati già oggetto di discussione nel condominio. Se ci sia un nesso causale tra le due circostanze non è noto al momento. Forse ce lo diranno i tecnici che la Procura della Repubblica di Roma ha incaricato delle verifiche, dopo aver aperto un fascicolo contro ignoti per disastro colposo. Ciò che invece ci induce a riflettere, a prescindere dalle responsabilità che verranno accertate per questo caso specifico, è la procedura che viene utilizzata per i lavori di trasformazione degli edifici esistenti. Garantisce sufficientemente i cittadini e la collettività? Sono soggetti a verifiche preliminari ed in corso di realizzazione che facciano escludere errori o manchevolezze?
Roma è notoriamente zona sismica, seppure di grado non elevato. Quindi qualunque intervento sulle strutture portanti, inclusa la variazione dei carichi “di esercizio” degli edifici (cioè i carichi che gravano in condizioni normali sulle strutture portanti, valutati nel progetto originario proprio per dimensionare travi, pilastri, solai e fondazioni) richiede, per legge, una nuova valutazione della “risposta dell'edificio”. Risposta che deve essere verificata alla luce delle nuove sollecitazioni introdotte dai lavori di trasformazione, ma anche alla luce della nuova condizione sismica dell'edificio.
Una verifica che, com'è facile immaginare, è piuttosto costosa e che presuppone, in caso di esito negativo, o la rinuncia ai lavori o l'adeguamento sismico dell'intero edificio. Questa sacrosanta imposizione normativa scoraggia molti interventi e induce persino a rinunciare ai benefici consentiti dal “Piano Casa” regionale. Ma a volte, la tentazione di modificare le strutture, per migliorare la “godibilità” degli appartamenti è forte.
Al punto da indurre a qualche errore di troppo, come l'eliminazione di parti strutturali o l'apertura di vani su murature portanti che, se non congruenti con la capacità di “resistere” dell'edifico, possono determinare il successivo collasso dello stesso, come nel caso, tristemente famoso, di via di Vigna Jacobini. Molti interventi di trasformazione degli immobili possono essere effettuati con procedure molto semplificate come, ad esempio, la Denuncia d'inizio attività, il cui iter non è soggetto ad alcun controllo preliminare.
Questo è un bene, ma solo nella misura in cui i tecnici progettisti facciano il loro lavoro con coscienza e competenza, rispettando puntualmente tutte le normative vigenti. Non possiamo escludere, tuttavia, che qualcuno, per assecondare il committente e fargli risparmiare costi eccessivi e complicazioni procedurali, imbocchi qualche pericolosa scorciatoia.
Potrebbe essere stato questo il caso dell'edificio del Flaminio? Noi ci auguriamo sinceramente di no e che, più in generale, nessun tecnico, impresa o proprietario si lasci sedurre da questa tentazione. Altrimenti saremmo costretti a confidare nella buona stella e nella tempestività dei Vigili del Fuoco. Ma la vicenda di via di Vigna Jacopini ci ha insegnato, che le circostanze fortunate, come questa del Flaminio, sono purtroppo un'eccezione e non la regola.
* Architetto Francesco Febbraro, Dirigente apicale Roma Capitale
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