È legge la riforma dei cosiddetti beni, o domini, collettivi, per effetto dell'approvazione della Legge 20 novembre 2017: si tratta delle collettività “i cui membri hanno in proprietà terreni e insieme esercitano più o meno estesi diritti di godimento, individualmente o collettivamente, su terreni che il comune amministra o la comunità da esso distinta ha in proprietà pubblica o collettiva”. Il diritto di collettivo godimento è riservato ai componenti della comunità e ha per oggetto “normalmente, e non eccezionalmente” utilità del fondo consistenti nel suo sfruttamento.
Sono beni collettivi le terre di originaria proprietà collettiva della generalità degli abitanti del territorio di un Comune o di una frazione, imputate o possedute da Università Agrarie: alla luce della legge 168 del 2017 come sono regolamentate gli Enti agrari? A rispondere alla nostra domanda, Marcello Marian, Vicepresidente della Consulta nazionale delle proprietà collettive: “La nuova legge 168 del 2017 modifica una serie di criteri che fino ad oggi sono stati eseguiti in conformità con la legge 1927 e col regolamento attuativo del 1928, pertanto introduce elementi nuovi che sono dirompenti rispetto al sistema fino ad oggi conosciuto, dirompenti anche perché modificano la natura dell’Ente gestore facendolo diventare un soggetto giuridico privato, non più pubblico. Quindi questi soggetti sono di natura privata e di conseguenza gli Statuti che avevano adottato fino ad oggi non hanno più valore: devono essere modificati secondo la Legge 168 del Codice Civile. Sono divenuti delle vere e proprie Associazioni alle quali è rimasta la competenza dell’amministrazione patrimoniale collettiva locale e la legge si riferisce sia a quegli Enti amministrati dalle Università Agrarie sia dai Comuni”.
Lo scopo di questa riforma è tutelare e valorizzare i beni di collettivo godimento, in quanto riconosciuti come elementi fondamentali per la vita e lo sviluppo delle collettività locali, strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale, componenti stabili del sistema ambientale, basi territoriali di istituzioni storiche di salvaguardia del patrimonio culturale e naturale, strutture eco-paesistiche del paesaggio agro-silvo-pastorale nazionale e fonte di risorse rinnovabili da valorizzare e utilizzare a beneficio delle collettività locali. La legge disciplina dunque i domini collettivi riconoscendoli come “ordinamento giuridico primario delle comunità originarie” dotati di capacità di autoformazione di capacità di gestione del patrimonio naturale, economico e culturale, che fa capo alla base territoriale della proprietà collettiva; e qualifica gli ente esponenziali delle collettività titolari dei diritti di uso civico e delle proprietà collettive come da persone giuridiche di diritto privato dotate di autonomia statutaria.
Marcello Marian aggiunge: “le Università Agrarie devono gestire tutti i demani con uno statuto che deve dare rappresentanza attiva alla collettività che fino ad oggi costituiva solo il corpo elettorale. Ora deve essere convocata per i bilanci, le alienazioni, la modificazione degli usi civici. Chi non accetta questo criterio amministra in modo errato. Così si perviene ad un sistema democratico partecipato. Ogni anno ci si deve incontrare 2-3 volte per conoscere come viene amministrato l’Ente. Gli Amministratori non devono essere condizionati dal potere locale, non ci devono essere più liste come avveniva prima. Bisogna convocare l’assemblea un mese prima delle elezioni e chi si vuole candidare lo dice apertamente e si forma un listone da cui scegliere. Il Presidente non lo elegge l’Assemblea, ma il Consiglio di Amministrazione che verrà nominato dal corpo elettorale. Tutti possono partecipare. Il godimento del diritto è di tutti i cittadini, ma viene indirizzato al nucleo familiare l’uso civico, ad esempio l’uso del legname. Si possono prevedere Statuti in cui l’utente che possiede i requisiti può presentare domanda per far parte, una volta eletto, del corpo elettorale. Si pensa a Consigli direttivi snelli di 7-8 persone. Non esiste più la Giunta. Il Consiglio si occupa di tutto”.
Viene inoltre affermato che il regime giuridico dei beni collettivi resta quello dell’inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua loro destinazione agro-silvo-pastorale. La legge è entrata in vigore il 13 dicembre 2017 ed entro il 13 dicembre 2018 “le Regioni avrebbero dovuto dare attuazione alla legge. Le Regioni non l’hanno fatto. L’art. 3 comma 7 Legge 168, recita che se non vi danno attuazione entro 12 mesi, le Regioni perdono la capacità giuridica, quindi gli Enti legiferano da soli e gli atti devono essere resi esecutivi dalla Giunta”.
Marcello Marian lo scorso 14 dicembre ha diffidato la Regione Lazio. Di seguito la nota del Vicepresidente della Consulta nazionale delle proprietà collettive: “come promesso, ho trasmesso agli alti papaveri della Regione Lazio, in vigenza dell’art. 3 comma 7 della Legge 20 novembre 2017 n. 168 art.3 c.7 l’allegata diffida stragiudiziaria a dare attuazione a quanto stabilito dalla citata normativa, dal momento che la Regione Lazio, ancora una volta, non è stata capace di approvare una legge conforme alla Costituzione e che non violasse il patto di ‘leale collaborazione’ con lo Stato , al pari di quanto ha già fatto con la L.R.1/1986 art. 8 dichiarato incostituzionale dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 113/2018”.
“Dopo 24 anni la Regione ha dimostrato la propria incapacità di legiferare legalmente in materia e di fregarsene delle problematiche esistenti sui demani collettivi. Quasi alla scadenza del termine perentorio assegnatogli dalla L.167/2017, voleva fare ancora una volta una legge illegittima, con forti connotazioni incostituzionali, tentando di riprendersi quello che la novella normativa nazionale le ha tolto. Nuovamente , la regione, voleva manomettere l’autonomia statutaria degli enti, prevedere la ‘sanatoria’ di manufatti D/10 (agriturismi ecc.) e limitare i diritti di uso civico di taglio del materiale legnoso, proponendo una legge che avrebbe avuto il solo scopo di castigare i diritti di collettivo godimento delle popolazioni interessate. La Regione ha fallito, nonostante i tentativi dei Consiglieri regionali Eleonora Mattia, Emiliano Minnucci e Marietta Tidei di mediare tra le esigenze dei tantissimi cittadini interessati e quelle, farneticati pensate da taluni dirigenti della Regione , evidentemente avallate da una classe politica incompetente, arrogante e lontana, molto lontana, dal risolvere le gravissime problematiche in cui si sono venuti a trovare quanti per anni hanno atteso invano, ai quali invece hanno saputo dare soltanto risposte incostituzionale che non hanno risolto i loro problemi ed hanno creato danni economici agli enti gestori ed ai cittadini titolari della proprietà collettiva”.
“Non si sono fermati nemmeno quando nel 2016 li abbiamo diffidati ad approvare le leggi regionali del 2016 e 2017, approvate con lo stesso scopo di provocare danni e senza dare alcuna legale soluzione alle problematiche suddette. Di tale arroganza verrà interessata la Magistratura contabile competente. Adesso tocca a noi. La Legge 168/2017 assegna a noi, grazie al principio di autonormazione, di approvare norme utili alla soluzione di problemi annosi senza deludere le aspettative dei nostri utenti. Auspico, a tal proposito, che ogni rappresentante di un Dominio Collettivo residente in ognuna delle regioni italiani inadempienti, faccia quanto abbiamo fatto noi nel Lazio e diffidi la propria regione dall’adottare norme legislative che sarebbero illegali e violative, mi ripeto, del principio di leale collaborazione con lo Stato, che ogni Istituzione pubblica ha il dovere di adempiere nel rispetto della Costituzione sulla quale, non dimentichiamolo mai, i nostri amministratori Comunali , ‘Provinciali’ e Regionali giurano”.
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