Non so quante piazze, piazzette, larghi ci siano a Roma.
Impossibile contarle.
Ti si aprono improvvisamente davanti mentre passeggi per strade e vicoli, ti sorprendono con la loro antica bellezza, con questo e quel particolare, un portale, una fontana, una finestra o, semplicemente, col silenzio.
Ognuna ha una sua particolarità, una sua unicità, non c’è mai ripetitività.
È bello incontrarle per caso, lasciarsi sorprendere, “ascoltare” ciò che hanno da dirti e lasciar fluire le emozioni prima che la conoscenza ne sveli ogni particolare e segreto.
È con questo spirito che mi sono fermato a Piazza De’ Massimi.
In realtà stavo percorrendo con lo scooter Corso del Rinascimento in direzione S.Andrea della Valle e ho semplicemente girato la testa verso destra mentre incrociavo Via S.Giuseppe Calasanzio.
E quando mi si è parata davanti agli occhi una meravigliosa colonna di marmo al centro di una piccola piazza nascosta che mai, ma veramente mai, ho notato in tutta la mia vita nelle innumerevoli volte che sono stato a piazza Navona, a qualche passo di distanza, non ho potuto non fermarmi per andare alla scoperta di un piccolo gioiello a me sconosciuto.
Dunque, eccomi nella piazza che prende il nome dalla nobile famiglia dei Massimo, Sovrintendenti delle Poste Pontificie e proprietari di vari immobili nella zona (tra i quali il bellissimo Palazzo Massimo alle Colonne a Corso Vittorio), la cui presenza a Roma è testimoniata fin dal X secolo, ma forse è molto più antica, visto che viene indicato come appartenente alla famiglia anche il papa martire Anastasio I (399-401).
La raggiungo proprio da via S.Giuseppe Calasanzio con lo sguardo fisso sulla colonna che punta il cielo mentre i palazzi intorno sembrano quasi inchinarsi a omaggiarla, come fanno i sudditi al passaggio di un re o di una regina.
Effettivamente, questa magnifica testimonial di un epoca passata, ruba la scena a tutto il resto e ti lascia a bocca aperta, col naso all’insù, mentre scorri lentamente le venature verdi, sbiadite dai secoli, del marmo cipollino che la riveste fino al capitello.
È alta quasi dieci metri ed è l’unica rimasta delle novanta “consorelle” che un tempo decoravano la scena dell’Odeon di Domiziano, un teatro di architettura greca voluto dall’imperatore per ospitare gare ginniche e soprattutto musicali.
Ma la piazza non è solo la colonna.
Per gustarne interamente la bellezza e la particolarità, bisogna guardarsi attorno e attendere.
E allora, ecco apparire tanti particolari che all’inizio non si notano, attratti, come si è, dal pezzo forte che si prende la scena come un tempo, quando era parte dell’edificio di Domiziano.
Mi avvicino, dunque, a un meraviglioso palazzo di fine ‘400-inizi ‘500, con un portale rinascimentale: Palazzo Massimo Istoriato, il più antico possedimento della famiglia, così denominato a causa della facciata tutta decorata con pitture a monocromo raffiguranti episodi del Vecchio e Nuovo Testamento e che all’inizio non si notano anche perché sono piuttosto rovinate dalle intemperie.
È necessario avvicinarsi per osservarle e così faccio. Ed ecco comparire lo “Sposalizio della Vergine”, la “Uccisione di Oloferne” ed una “Scena della Vita di Esther”.
Non posso fare a meno di immaginare quanto dovesse essere bella un tempo la facciata di questo palazzo e con quale meraviglia, e forse un po’ d’invidia, dovessero contemplarla i passanti di allora.
Qui, nel 1476, venne ospitata la prima stamperia romana di Arnold Pannartz e Conrad Schweynheim, i monaci tedeschi che introdussero per primi in Italia la tecnica della stampa a caratteri mobili, come recita una targa affissa tra le due porte del palazzo sulle quali era riportata la firma “in domo Petri de Maximis“, ovvero “nella casa di Pietro de’ Massimi”.
Poco più in là, un’altra targa del 1759, in bella vista su di un muro , forse più attuale oggi di trecento anni fa, proibisce “di fare il mondezzaro” in quel luogo, pena una multa in scudi il cui importo non è dato capire.
Insomma, se Roma è cambiata nel tempo, i problemi sono rimasti gli stessi…
Sul lato opposto della piazzetta si trova il palazzo del Convento di S. Pantaleo, un edificio del ‘500 ma stavolta di proprietà della famiglia Muti. Un centinaio di anni dopo l’edificio fu venduto a S.Giuseppe Calasanzio che visse qui fino alla sua morte (1648) e vi insediò la sua Congregazione religiosa detta degli Scolopi che qui mantengono tuttora la Casa Generalizia e il Collegio Calasanziano.
La mia piccola passeggiata in solitudine alla scoperta di un piccolo gioiello della Roma del ‘500 volge al termine.
In questo luogo nascosto alle orde di turisti attratti dal fascino irresistibile della vicina, ma per certi versi lontana, Piazza Navona, si respira tutta un’altra aria.
È il sussurro di Roma che mi accompagna sempre nel mio vagare tra i suoi tesori più intimi e preziosi e che avverto quando sono solo con lei.
Sono sicuro che lo potrete ascoltare anche voi, se verrete qui e se vi lascerete afferrare dall’abbraccio tiepido della storia come quello, indissolubile e commovente, tra i Palazzi del ‘500 e la Colonna del I secolo.
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