Settembre 1990. L’ex sergente di Marina Davide Cervia viene rapito a Velletri mentre è in corso la Prima Guerra del Golfo. La Nato contro Saddam Hussein che invase il Kuwait. Si ritrovò l’auto ma di Cervia si persero le tracce. Una spia del Sismi, Mario Ferraro, venne trovato “suicida” al porta-asciugamani del bagno. Era coinvolto nella scomparsa del giudice Adinolfi, rapito nel luglio del ’94, quando indagava sulle società di copertura dei Servizi Segreti.
Il 12 settembre 1990, mentre sta tornando a casa dalla moglie Marisa e dai due figli piccoli alle porte di Velletri, l’ex sergente della Marina Davide Cervia viene rapito da sconosciuti. Secondo il racconto di un vicino, dei personaggi loschi lo caricano a forza sulla sua auto e lo portano via. Quando nelle sparizioni di cittadini sono coinvolti i Servizi Segreti, lo Stato è allo stesso tempo colpevole e, ipocritamente, tutore del diritto della famiglia a sapere cosa sia successo. Ma tutto non si può dire, così si fa intendere, si dicono mezze verità, si fanno accenni e tutto resta a mezz’aria irrisolto.
Fin dall’inizio gli inquirenti sostennero l’ipotesi dell’allontanamento volontario. Uno torna a casa parcheggia l’auto e porta un mazzo di fiori alla moglie e poi lì sul momento decide di darsi alla fuga. Una tesi che fa acqua da tutte le parti.
Capite cosa significa avere a che fare con certi “inquirenti”? Poveracci, anche loro devono obbedire agli ordini dall’alto. Sono sempre quelli che stanno in alto che devono coprire le magagne di chissà chi. Perché non ce lo dicono mai.
Per fortuna i testimoni non si fanno mettere i piedi in testa e insistono con il rapimento. La famiglia si convince di questa ipotesi, connessa alle conoscenze tecniche e militari dell’ex sergente, con particolare riferimento alla guerra scoppiata il 2 agosto di quell’anno, che vide l’Iraq opposto a una coalizione di 35 stati, sotto l’egida dell’Onu e guidata dagli Stati Uniti d’America.
Una guerra di aggressione ma con la scusa di ripristinare la sovranità del Kuwait, dopo che il suo territorio era stato invaso dagli iracheni e annesso all’Iraq. Fu anche un evento mediatico che segnò uno spartiacque nella storia dei media: fu definita la prima guerra del villaggio globale, perché la si poteva seguire in diretta sui televisori da casa.
Come sempre accade in questi casi, seguirono una serie di segnalazioni, telefonate e minacce che non si capisce mai quanto realistiche e quanto opera di sciacallaggio. Quattro mesi dopo il rapimento il nome di Davide Cervia compare nella lista passeggeri di un volo da Parigi per Il Cairo. Il biglietto risulterebbe acquistato addirittura dal Ministero degli Esteri francese.
Nel marzo 1991 viene ritrovata l’auto di Cervia, una Golf Volkswagen, grazie ad una lettera anonima inviata al programma Chi l’ha visto? su Raitre. Uno dei testimoni l’aveva vista guidata da un presunto rapitore. L’auto si trovava presso la Stazione Termini a Roma. Sul sedile posteriore si trovarono le rose (ormai secche) che Davide avrebbe voluto portare a sua moglie Marisa. Oggi quei fiori sono gelosamente custoditi dalla moglie in una cornice.
Subito dopo il ritrovamento, la famiglia comunicò di aver ricevuto l’offerta di un miliardo di lire per lasciare perdere la vicenda. La famiglia aggiunse anche che: “Non vogliamo ancora dire chi, prima vogliamo la garanzia che lo Stato sia disposto a tutelarci”. Tenera ingenuità. Chiedere tutela a chi presumibilmente ha rapito uno dei genitori.
Negli anni successivi la famiglia ricevette numerose lettere anonime, in una c’era scritto che Cervia sarebbe morto sotto un bombardamento a Baghdad. In un’altra lo si dava per prigioniero in Libia o in Arabia Saudita. In altre ancora si minacciava la famiglia di restare in silenzio sulla vicenda e basta.
Infine nel 1997 la moglie riceve una telefonata. Dall’altra parte c’era la voce del marito che parlava di lavoro. Dopo aver ripetutamente tentato di parlargli, capisce che si tratta di una registrazione. Cos’è? Un maldestro tentativo di prendersi gioco dei sentimenti della moglie? Un goffo modo di far sembrare Cervia ancora vivo? Se fu un gesto dei rapitori resta inspiegabile. A che serviva, se non a ferire ancora il cuore di una moglie?
Un giallo di Stato, che prosegue, dopo decenni di depistaggi e omissioni. Nel 2018 il Ministero della Difesa è infatti condannato a risarcire la famiglia per “aver violato il diritto alla verità” e nei mesi seguenti Elisabetta Trenta (Ministra della Difesa del primo governo Conte) ha rivolto pubbliche scuse e annunciato di voler rinunciare all’appello.
Nel giugno 2019 il Premier Giuseppe Conte, tramite il consigliere militare Carlo Massagli, ha espresso “Salda vicinanza a Marisa e ai suoi figli” e annunciato con una lettera ufficiale l’intenzione del Governo di promuovere una Commissione d’Inchiesta sulla vicenda di Davide Cervia. Per noi mortali è incomprensibile come operino le istituzioni dove, quando c’è una responsabilità, tutto viene messo a tacere, nel più alto interesse dello Stato.
Di contro, un’altra parte delle istituzioni è costretta a tacere o a mentire, vergognandosene profondamente ma più che vicinanza e solidarietà non può elargire, quando ci sarebbe bisogno di ristabilire la verità, sempre e comunque, affinché i cittadini, che non sono minorati psichici, possano trarre le loro conclusioni su chi li amministra. Il popolo sovrano alla resa dei conti è quello che conta meno di tutti e la verità non si saprà mai. Ma allora siamo sovrani rispetto a che?
Perché era stato rapito Cervia? Cosa sapeva di così importante? Per venirne a capo la famiglia chiede di sapere quali fossero le mansioni e i compiti del loro congiunto nella Marina Militare. Per 4 anni vengono presi in giro con falsi fogli matricolari che parlano di tutto e di niente.
Ci volle una occupazione di 9 ore di alcune stanze del Ministero della Difesa perché saltasse fuori il foglio matricolare vero, con la qualifica ELT/ETE/GE. Emerse così che il SIOS Marina aveva rilasciato a Cervia il NOS NATO, valido fino al 1986. Il NOS sarebbe il nulla osta di sicurezza, che consente alle persone fisiche di trattare informazioni con classifica di segretezza superiore a “riservato”. Ha validità 10 anni per le classifiche di segretezza “riservatissimo” e “segreto”, 5 anni per “segretissimo”.
Nel 2013 Giovanni Cossu, istruttore di Davide Cervia, disse che lui era uno dei massimi esperti di sistemi d’arma impiegati dalla Marina Militare, tra cui l’OTOMAT, venduto in 1000 esemplari anche in Iraq e in Libia. Quasi certamente il motivo per cui venne rapito risiede nelle sue conoscenze militari e nello stramaledetto commercio di armi di guerra. Ma venne rapito da chi? Dagli iracheni non pare possibile. Dagli stessi per cui aveva lavorato, le forze NATO? Anche questo pare inusuale. Intanto nel 2000, il 5 aprile, la Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma archiviò il fascicolo per l’impossibilità di individuare i colpevoli del rapimento. Una bella pietra sopra ai segreti. Così finisce la dedizione del cittadino allo Stato.
Altro caso con un esito simile. Qui viene coinvolto un funzionario del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare (che funzionò dal 1977 al 2007) ora sostituito dall’AISE, Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna.
Era il 16 luglio 1995, una domenica. Mario Ferraro, tenente colonnello del Sismi, nome che compare in tanti misteri d’Italia, fu trovato impiccato in casa della sua compagna, al porta-asciugamani del bagno, nell’attico di uno dei tanti palazzoni al quartiere Torrino, non distante dall’Eur. La donna incredibilmente lo stava aspettando in terrazza, eppure non ha sentito niente. L’appendi asciugamani era imbullonato alle mattonelle a un’altezza di 1 metro e 20 cm dal pavimento ed era rimasto intatto, nonostante Ferraro pesasse circa 90 chili. La scena fa pensare ad un omicidio mascherato da suicidio.
Gli investigatori indagarono a lungo in questa direzione, ma nel 1999 il caso fu archiviato accreditando l’ipotesi di un gesto di autolesionismo, nonostante la compagna abbia sempre escluso propositi di tal genere.
Il nome del tenente colonnello Ferraro era coinvolto anche nel caso della scomparsa del giudice Paolo Adinolfi ,il 2 luglio del 1994. Il giudice era al corrente dei segreti di società che probabilmente erano solo una copertura di agenti segreti, come il crack della Ambra assicurazioni (200 miliardi di lire di passivo) e della Fiscom Finanziaria. Ma non solo: “Questi retroscena del caso Adinolfi – si legge sul libro La scomparsa di Adinolfi di Fiorucci e Guadagno – li avrebbe rivelati ai giudici Francesco Elmo, faccendiere siciliano, a suo dire in confidenza con il colonnello del Sismi Mario Ferraro. Anche lui sistemato per le feste? Funebri, naturalmente”.
Il giudice veniva spiato dai servizi segreti che volevano impedire che trapelassero i segreti di cui era venuto a conoscenza, verso direzioni incontrollate.
Il libro svela molte coincidenze che riguardano il lavoro dei servizi segreti in merito alla vita e all’attività del magistrato. In pratica lo Stato spiava la Magistratura attraverso i servizi segreti. La cosa lascia interdetti ma solo così si spiegano tante incongruenze anche alla luce della politica attuale. Son risultati agenti del Sisde gli stessi inquilini cui Adinolfi aveva affittato una casetta che aveva a Manziana. Il contratto di affitto venne firmato da Vincenzo Fenili, che si presentava come pilota Alitalia ma era una copertura. Il suo nome in codice era Kasper, un agente segreto ex carabiniere o, come lui stesso si definisce, un contractor del Ros, arruolato giovanissimo in Gladio.
La casa per altro era lontana sia da Fiumicino che da Ciampino e vicina invece alle basi militari di Furbara e Vigna di Valle. Fenilli conviveva allora con una fotografa, Karie Hamilton, americana, che poi si scoprì essere lei stessa una spia del Sismi, con accesso a basi militari Nato.
La storia di Roma e d’Italia è piena di casi irrisolti e molti hanno a che fare con questioni delicate che riguardano segreti di Stato. Qui si perdono i confini che separano la criminalità organizzata dai Servizi Segreti e tante sparizioni e suicidi, spesso anche rozzamente gestiti, mostrano più che celare, un lato corrotto e sinistro dello Stato e dei suoi funzionari che lascia interdetti noi cittadini qualunque.
Gli Stati hanno compiti gravosi di difesa nazionale e spesso le loro infiltrazioni, indagini e trattative esulano dalle vie della legalità, per percorrerne altre totalmente al di fuori. Non sappiamo quante volte queste illegalità fossero necessarie alla difesa del Paese e quante, invece ad interessi di parte, di settori dell’imprenditoria o di apparati pubblici.
Certo è che nel mondo della politica e della società civile non sempre i buoni sono davvero buoni e i cattivi sono davvero cattivi. Come nelle serie poliziesche tutto si mescola e mondi che pensavamo lontani operano a stretto contatto con mafie, frange politiche, Chiesa e corpi militari. Il caso Emanuela Orlandi ne è una evidente dimostrazione. Almeno per quello che fino a ora è emerso.
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