Ddl Zan: ecco l’utilità e il valore della teoria del Gender nelle scuole
La teoria del Gender è assolutamente utile, niente affatto “pericolosa” nell’ambito della formazione scolastica
Le fitte polemiche “al vetriolo” che animano la difficile “gestazione” delle norme previste nel cosiddetto “DDL Zan” hanno aperto un peculiare ventaglio di ipotesi.
Ipotesi che per ragioni di libertà interpretativa da parte dei giudici, erano state finora mantenute dalla legge nell’ambito del parametro valutativo del “caso per caso”.
Il mistero della sessualità e le leggi in merito
Viene confermato comunque l’assunto generale secondo il quale, nulla è più misterioso della sessualità, sia intesa come identificazione personale, sia come orientamento.
Intimo per definizione, il sesso giuridicamente inteso come “genere” ma soprattutto come esercizio pratico in senso erotico, se non pornografico, è universalmente inteso come espressione di uno dei grandi piaceri della vita.
Da un lato libero, non condannabile o tutelabile nelle azioni purché consensuali. Non propriamente “coperto dal diritto”, ma senza dubbio da tutti praticato in privatissime situazioni. Ove spesso gli stessi cultori sono i medesimi a condannarlo in pubblico, magari apostrofandolo con aggettivazioni ipocrite, insultanti e contraddittorie.
Eppure, come a tutti è certamente capitato in ogni genere di contesto sociale, niente al mondo eleva l’attenzione più di un sottinteso o racconto a sfondo sessuale. Dove ai tipici risolini maliziosi, corrispondono proprio questi famigerati “atti contrari al buon costume” e destinati ad “offendere il pudore”.
Ddl Zan, interpretazione di nome con contenuto sessuale
Quando se ne presenta l’occasione, il giurista sa bene che la difficoltà principale è proprio quella di individuare i termini tecnici adatti per dare definizioni di legge su questo pruriginoso argomento. Perché ben conosce l’imbarazzo del giudice destinato a decidere, caso per caso, il fatto raccontato nel fascicolo che si verrà a trovare sul suo tavolo.
Sul punto, diverte ricordare che, negli anni ottanta, quando nacque l’abitudine delle donne di abbronzarsi in topless, i pretori d’Italia – tanto per cambiare – si divisero su due fronti regionali: sulle spiagge del nord, i “seni al vento” vennero considerati liberi di circolare, mentre sulle spiagge del sud, furono vietati e sanzionati con multe anche salate; ci fu poi un pretore del centro, un po’ burlone, che applicò il criterio dell’equità, ovvero. sì al topless soltanto se il seno “è bello!”, aprendo così uno spazio interpretativo impossibile da garantire, non potendosi certo codificare l’estetica secondo canoni assoluti e universali.
Ciò per dire che la vera difficoltà nel dover disciplinare materie di contenuto sessuale è costituita proprio dalla creazione delle definizioni su tema. Perché esse saranno sempre suscettibili di interpretazioni difformi l’una dall’altra su casi simili, con conseguente incertezza del diritto e a danno della sostanza del problema.
Ddl Zan: dalla valutazione caso per caso ad un modello più strutturato
Ecco perché la tendenza sarà sempre quella di scoraggiare l’eccessiva qualificazione di generici comportamenti puniti in misura diversa in ragione della valutazione “caso per caso”.
Comprensibilmente, ogni situazione giuridica deve pur avere una denominazione che è obbligatoria nelle leggi penali. Le quali debbono sempre prevedere un preciso fatto di reato da punire, con graduabilità della pena a seconda della gravità del caso.
Al contrario, i comportamenti dannosi risarcibili in sede civile sono appositamente “atipici”, proprio per consentire al giudice di inquadrare ogni singolo caso in maniera più libera.
Questo per consentirgli di compiere le valutazioni più adatte volte decidere sul caso concreto. Il quale, al di là del paradosso raccontato poco fa, rappresenta sempre la miglior occasione di approfondire i delicati aspetti degli illeciti a sfondo sessuale.
Tra la “legge Mancino” e il “DDl Zan”
Allo stato, chiunque affermi, in maniera fondata e dimostrabile, di essere stato leso e offeso per le ragioni già previste dalla cosiddetta “Legge Mancino” del 1993, è punito penalmente per frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali anche con l’utilizzo di emblemi o simboli.
Le difficoltà di aggiornare questa legge attraverso la proposta di legge del deputato Alessandro Zan in giacenza al Senato, prevede – principalmente – l’aggiunta della categoria di coloro che si riconoscono in diverse “identità di genere”, con espresso riferimento alla categoria LGBT.
Non può negarsi che dette innovazioni siano pienamente conformi alle modifiche di legge nel frattempo intervenute. Soprattutto con la legge del 2016 che riconosce le unioni civili e le convivenze tra omosessuali. E poi attraverso le interpretazioni della Corte Costituzionale che hanno ampliato la sfera dei diritti sulla materia.
Ddl Zan: anche per le donne e i diversamente abili
Con conseguente necessità di proteggere le fasce più deboli. Tra cui rientrano a buon diritto i “diversamente abili” e – addirittura – le donne, che purtroppo negli ultimi anni sono diventate il bersaglio preferito nell’esecuzione dei delitti, per appunto, “di genere.”
Ma purtroppo, la prima criticità in termini di tecnica di redazione dei testi di legge va rilevata proprio nell’esperienza pratica sui casi che colpiscono il genere femminile.
Da un lato attento a migliorare la propria condizione dignitosa individuando più protezioni (fenomeno #metoo, categorizzazione di molestie discriminatorie #catacalling, e quant’altro), dall’altro lato però a constatare che con l’introduzione progressiva di ulteriori norme penali (stalking o “atti persecutori” nel 2009 e “femminicidio” nel 2013), specificativi dei già preesistenti reati di “maltrattamenti in famiglia” e di “omicidio volontario” (rispettivamente previsti dagli artt. 572 e 575 del codice penale).
Peraltro ulteriormente rafforzati con le disposizioni di cui al cosiddetto “Codice rosso” (Legge n. 69/2019), il compimento maschile di detta tipologia di delitti contro il genere femminile, non solo non è affatto diminuito, ma è spaventosamente aumentato e purtroppo destinato anche a peggiorare.
L’utilità della teoria del Gender nelle scuole
E’ quindi evidente che l’impatto sociale determinato della eccessiva tipizzazione delle ipotesi di questi delitti determina una sorta di “effetto domino”.
Tale effetto, come purtroppo insegna l’esperienza pratica, tende a inasprire ulteriormente gli animi dei soggetti con tendenze criminali. E così ad aumentare contestualmente il tasso di vittimismo da parte degli indifesi.
In pratica, la soluzione punitiva non si sta affatto rivelando idonea a contenere il problema. Tuttavia lasciando intendere che la strada da percorrere con urgenza è invece quella di attivare una forte e penetrante campagna culturale. Proposta prevista infatti dalla stessa Legge Zan.
Percorrere la strada legislativa della cautela descrittiva si rivela utile. Non potendo però negare l’urgente necessità di conformarsi alle normative interne degli altri paesi dell’Unione Europea promulgando e garantendo la cultura dell’accettazione delle diversità.
E soprattutto spiegando che la teoria del gender è assolutamente utile, niente affatto “pericolosa” nell’ambito della formazione scolastica, bensì chiarificatrice di pregiudizi ormai superati dalla società civile e che quindi – in assoluto – non debbono più sussistere dubbi sulla pienezza assoluta dei diritti, soprattutto in termini di pari dignità civile, in capo alle persone LGBT.