Oltre 600 manifestanti si sono riuniti di fronte alla Camera per dire no alla legge contro l’omotransfobia, il cosiddetto ddl Zan. E rivendicare il diritto alle libertà costituzionali di parola, espressione e opinione, messe in pericolo dalla norma che dovrebbe approdare in Aula il 27 luglio.
In Piazza Montecitorio è andata in scena la protesta contro la proposta di legge Zan. Una norma, che ha appena iniziato il proprio iter parlamentare, pensata per contrastare discriminazioni e violenze contro la comunità Lgbt. Ma che, di fatto, rischia di introdurre un reato d’opinione, traducendosi in un pericoloso bavaglio.
La pdl, che prende il nome dal suo primo firmatario, il deputato del Pd Alessandro Zan, non definisce infatti cosa si intenda per “omotransfobia”. Lasciando quindi ampia discrezionalità alla magistratura giudicante, che potrebbe sentenziare in modi diversi su casi simili in base alla sensibilità del giudice.
Ma non solo. L’esperienza di altri Paesi insegna che una simile ambiguità potrebbe condurre a eccessi che sconfinerebbero in veri e propri soprusi. In Spagna, ad esempio, l’ormai defunto cardinale Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona, è stato processato per omofobia. La sua colpa era aver citato gli insegnamenti della Chiesa cattolica in tema di omosessualità.
Non è un caso che anche la Cei si sia espressa contro il ddl Zan. Con cui sarà possibile «sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma». Ma anche chi si dirà contrario all’utero in affitto, una pratica barbara che reifica le donne e considera i bambini alla stregua di prodotti da supermercato.
Del resto, anche le femministe di “Se non ora quando”, così come Arcilesbica, hanno criticato la proposta di legge. Che, facendo riferimento all’ambivalente concetto di identità di genere, consentirebbe a uomini che “si sentono donne” l’accesso a spogliatoi e bagni femminili.
Perfino J.K. Rowling, la mamma di Harry Potter, è finita nella bufera per aver ironizzato su un articolo che usava l’espressione “persone che hanno le mestruazioni”. «Sono sicura ci fosse una parola per quelle persone» ha cinguettato sarcastica. Un’ovvietà, eppure affermare che solo le donne hanno le mestruazioni è bastato a farle piovere addosso l’accusa di transfobia.
Un evento che si è ripercosso anche sulla scrittrice scozzese Gillian Philips, autrice di bestseller per bambini. La quale è stata licenziata dalle sue case editrici, Working Partners e HarperCollins, per aver espresso solidarietà all’illustre collega.
Tutto questo, e molto altro, potrebbe diventare realtà anche in Italia qualora il ddl Zan diventasse legge. Ecco il motivo per cui tutta la Penisola sta scendendo in piazza al grido silenzioso di #RestiamoLiberi. Roma non è stata da meno. Con un bavaglio per denunciare la censura, una folla piccola ma nutrita ha vegliato esponendo cartelli che denunciavano i pericoli della norma.
In piazza anche vari parlamentari, tra cui spiccavano i leader della Lega, Matteo Salvini, e di FdI, Giorgia Meloni. Tutti concordi nell’affermare che, in tempo di pandemia, la priorità non può essere una legge contro l’omotransfobia. Reato che viene già punito dal Codice Penale e non costituisce neppure un’emergenza, come evidenziano i dati dell’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori. L’OSCAD, che fa capo al Viminale e in otto anni ha segnalato appena 212 casi di discriminazioni legate a orientamento sessuale o identità di genere.
Sia chiaro, anche un solo caso sarebbe inaccettabile, ma gli strumenti giuridici per opporsi a questi atti ignobili esistono già. Per cui il sospetto è che il ddl Zan serva solamente a tacitare il pensiero non allineato – un po’ come la Commissione Segre, per capirci. È il sonno della ragione. Che, notoriamente, genera mostri.
Foto di Elisa Gestri e di redazione.
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