Coerenza, bye bye. O se preferite, visto che la vicenda si svolge in Sicilia, “Coerenza… ‘sta minchia”.
Prima delle valutazioni di merito, infatti, bisogna mettersi d’accordo sull’approccio generale: le leggi vigenti si devono comunque applicare, in attesa di una loro eventuale modifica, o vanno considerate alle stregua di sommessi consigli che ognuno deciderà di utilizzare solo se li condivide?
La questione è cruciale. Perché ad esempio, rimanendo in Italia, abbiamo votato per anni e anni con il famigerato Porcellum, che pur essendo in odore (o in tanfo) di incostituzionalità fin da quando venne approvato nel dicembre 2005 è stato poi abrogato dalla Consulta solo nel gennaio 2014: immaginatevi voi cosa sarebbe successo se un qualsiasi sindaco, analogamente a ciò che fa oggi Leoluca Orlando nella sua qualità di Primo cittadino di Palermo, avesse deciso unilateralmente di non installare i seggi nel proprio territorio in quanto convinto (nemmeno a torto, come poi è stato dimostrato dalla sentenza della Corte Costituzionale) che le norme in materia erano viziate in qualche loro aspetto fondamentale.
Oppure, per spostarci in Europa, pensate alle recentissime reprimende che sono fioccate contro il governo Conte riguardo alla mancata osservanza, in sede di Manovra finanziaria, dei Trattati comunitari. In moltissimi, a cominciare da quegli stessi che oggi danno ragione a Orlando, si sono precipitati a ribadire che quelle intese erano e rimangono vincolanti. Persino quando ci siano fondati motivi per ritenerle sbagliate.
Detto alla Romano Prodi, che ci ha donato questa perla di saggezza non più tardi dell’ottobre scorso, “Rules are rules: le regole sono regole. Le regole di bilancio europee vanno rispettate anche quando non sono intelligenti”.
Leoluca Orlando sottolinea che il suo non è un “atto di disobbedienza civile né di obiezione di coscienza ma la semplice applicazione dei diritti costituzionali che sono garantiti a tutti coloro che vivono nel nostro Paese”.
Di “semplice”, però, non c’è proprio nulla. Anche perché in tal caso non si vede come mai il presidente della Repubblica abbia firmato il Decreto Sicurezza invece di rifiutarsi e di rinviarlo alle Camere. Quella che il sindaco di Palermo definisce la “semplice applicazione dei diritti costituzionali” è in effetti la sua personale versione dei medesimi. In parte, del resto, lo riconosce egli stesso: “Su alcuni temi, e tra questi il rispetto dei diritti umani, io ho una visione e una cultura diversa da quella del ministro dell’Interno”.
Poi, però, cambia di nuovo angolazione e torna al suo approccio da costituzionalista fai da te: “Qui siamo di fronte a un problema non solo ideologico ma giuridico. Non si possono togliere diritti a cittadini che sono in regola con la legge, solo per spacciare per ‘sicurezza’ un intervento che puzza molto di ‘razziale‘”.
È questo “dentro e fuori”, che proprio non va.
L’Italia non è una repubblica federale e tantomeno è una libera associazione di entità autonome. Palermo sta in Sicilia, e la Sicilia sta in Italia. Leoluca Orlando è solo il sindaco del capoluogo regionale: non il capo di una nazione a sé stante che può decidere a suo piacimento cosa fare o non fare, in base a ciò che ritiene giusto o non giusto.
Il Decreto Sicurezza è incostituzionale? Forse. Ma a stabilirlo dovrà essere la Consulta, non ogni singolo amministratore locale. E i primi ad attenersi a questo principio dovrebbero essere gli strenui difensori, in stile PD, dei Parametri di Maastricht.
A meno che, invece, non siano disposti a riconoscere che almeno in alcuni casi le divergenze etiche, e le scelte politiche, possono diventare istanze unilaterali: come sostengono appunto, in chiave anti UE, i tanto vituperati sovranisti.
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