Omicidi senza un assassino e un movente, ancora avvolti da un profondo mistero, hanno macchiato la cronaca nera della nostra regione. Strane analogie riguardano il delitto di Wilma Montesi – a Torvajanica nel ’53 – con quello di Antonietta Longo, a Castel Gandolfo nel ’55. La giustizia è sempre pronta a riaprire il caso di fronte a possibili testimonianze risolutive.
Castel Gandolfo, 10 luglio 1955. Due amici in barca sul lago di Albano, Antonio Solazzi e Luigi Barboni, scoprono per caso il cadavere di una donna nudo e decapitato nei pressi della riva dell’Acqua Acetosa. Il corpo è in stato di avanzata decomposizione e il terreno attorno è intriso di sangue. Unica particolarità un orologio al polso destro, con marchio Zeus. Segnava le 3:33, l’ora in cui, presumibilmente, la donna era morta: ma mattino o pomeriggio?
Accanto al cadavere i carabinieri rinvennero un portachiavi, un orecchino con pendaglio triangolare, il frammento di una foto che raffigurava una donna e un uomo ripresi a braccetto. Quell’orologio, prodotto in soli 150 esemplari, sarà l’unico elemento che consentirà agi investigatori di risalire al nome della persona assassinata, incrociando i dati dei clienti delle gioiellerie. Tale Antonietta Longo, nata a Mascalucia, Catania, il 25 luglio 1925. Quindi aveva 30 anni, di professione cameriera presso la famiglia di Cesare Gasparri, funzionario del Ministero dell’Agricoltura e sparita da qualche giorno. L’assassino di Antonietta Longo non è stato mai trovato.
Ogni omicidio irrisolto presenta elementi strani che devono trovare una giusta collocazione nella ricomposizione del puzzle. Il primo elemento strano è il tempo trascorso dal ritrovamento alla denuncia ai Carabinieri. Una settimana. Il ritrovamento del corpo nel lago è del 5 luglio. La data che riportava la copia de Il Messaggero abbandonata sul corpo era esattamente quella. Ma la denuncia alle forze dell’ordine è del 12 luglio. Perché tardarono tanto a denunciare il ritrovamento del cadavere? I due testimoni si dissero spaventati. Ma se sei spaventato e innocente corri subito dalla polizia per metterti al riparo, o no?
Secondo il medico legale che effettuò l’autopsia del cadavere della donna, la testa era stata staccata dal corpo direttamente sul posto. Questo spiega la grande quantità di sangue che era penetrata nel terreno fino a 12 cm. Sempre secondo il fitopatologo la tecnica utilizzata per staccare la testa era indubbiamente di un medico che conosce l’anatomia del corpo umano. Doveva essere stato una persona che sapeva usare il bisturi. Dall’esame medico risultò un aborto recente della donna. Non solo, alla ragazza erano state asportate le ovaie mentre era ancora viva, forse l’aborto era finito male? Ci furono complicazioni?
Tutti questi elementi messi insieme gettano una luce sinistra sull’episodio. Una domestica siciliana, lontana da casa, trent’anni, viene assassinata con ben 13 coltellate: sette sferrate mentre era voltata di spalle, forse mentre stava ammirando il lago, con colpi di coltello anche all’addome e infine decapitata. La testa poi sparisce, per fare in modo che la persona non possa essere identificata. In seguito una lettera anonima parlò di dissoluzione nell’acido.
Fa pensare a un ricatto dal quale l’assassino volesse riscattarsi con l’omicidio. Un ricatto forse legato ad una gestazione indesiderata, a una relazione adultera? Nel 1955 non c’era l’aborto e neanche il divorzio. Una relazione adulterina era comunque uno scandalo che creava seri problemi sia alla donna ma poteva compromettere anche la normale vita di relazioni di un professionista, come un medico noto, nei riguardi della sua famiglia e delle sue relazioni professionali. Ma queste sono solo congetture, per altro a distanza di quasi 70 anni da quell’orribile omicidio tuttora irrisolto. Di certo quell’aborto deve aver giocato un ruolo importante nella vicenda. Deve aver significato qualcosa in negativo per la vita della povera Antonietta. Forse sperava in un matrimonio.
Non è il solo omicidio rimasto inspiegabile e senza un colpevole. In questi ultimi 70 anni ce ne sono stati diversi, o rimasti nell’oscurità o con soluzioni avvenute con gravi ritardi. Pensiamo al Caso Wilma Montesi, trovata morta sulla spiaggia di Torvajanica, l’11 aprile del 1953, sabato santo, nel quale vennero coinvolti Ugo Montagna e Piero Piccioni, musicista e figlio del senatore democristiano Attilio Piccioni, nonché amante di Alida Valli. Come si sa il caso suscitò un vero scandalo nella società italiana.
La Corte li ha poi assolti da tutte le accuse, anche se il caso rimane irrisolto, compresa la causa della morte. Al momento della scomparsa, la ragazza, che aveva solo 21 anni, era la fidanzata di un poliziotto di Potenza, che stava per sposare. Aveva fatto piccole parti nel cinema agli studi di Cinecittà. Il corpo venne ritrovato da un operaio che stava facendo colazione sulla spiaggia. Il cadavere aveva la testa immersa nell’acqua, mentre la schiena e gli arti erano sulla sabbia. La giovane era parzialmente vestita e i suoi abiti erano zuppi. Il cadavere non indossava scarpe, gonna o calze e mancava la borsa.
Fa impressione la serie di analogie, penso del tutto casuali, con l’omicidio di Castel Gandolfo.
Anche qui una giovane donna, scomparsa da alcuni giorni, mezza nuda, vicino all’acqua. Nel tentare di ricostruire le sue ultime ore la Polizia viene a sapere, da dei testimoni, che era stata vista sul treno per Ostia, poco distante dalla spiaggia di Torvajanica. La donna era vergine e aveva le mestruazioni, come rileva l’autopsia ma aveva tracce di sabbia nelle parti intime, il che si spiega solo con una tentata violenza. Aveva però il trucco intatto e lo smalto delle unghie in perfetto stato, che invece non fanno pensare alla violenza. Com’è morta allora Wilma Montesi? Il medico ha scritto “possibile sincope”. Una sincope per aver messo i piedi in mare?
Nel corpo non vennero trovate tracce di alcol o droghe. Il collegamento con Piero Piccioni fu dovuto al fatto che, in un articolo di Paese Sera, si raccontò che il giovane musicista avesse portato in Questura gli abiti smarriti della giovane, fra cui un reggicalze. Come era in possesso del reggicalze il giovane Piccioni? La notizia fece molto scalpore perché mentre la Polizia era orientata verso l’incidente, i giornali che seguivano il caso erano scettici e si pensava che si stesse tentando di insabbiare le indagini, perché erano prossime le elezioni politiche del 1953. Uno scandalo che coinvolgesse esponenti della DC avrebbe potuto creare contraccolpi sull’esito elettorale. Paese Sera poi era un giornale dell’area di sinistra e il PCI aveva tutto l’interesse invece a far emergere lo scandalo.
Tornando al caso della Decapitata di Castel Gandolfo, nella ricostruzione della vita della povera vittima, i Carabinieri vengono a sapere che la domestica aveva ritirato i suoi risparmi e che li aveva depositati in una valigetta alla Stazione Termini il 4 aprile. Aveva chiesto al suo datore di lavoro un mese di permesso il 26 giugno e aveva riposto in un’altra valigia tutti i suoi vestiti. Anche qui non torna qualcosa. La famiglia Gasparri aveva denunciato la scomparsa della domestica alla fine di giugno. Fu grazie alle impronte digitali trovate nella casa dei Gasparri che la Polizia poté identificare Antonietta. Com’è possibile allora che abbia richiesto un permesso, se poi la famiglia Gasparri ne denuncia la scomparsa?
Il 30 giugno la domestica aveva ritirato al fermo posta una lettera e il giorno dopo (1°luglio) risulta che fosse uscita dalla sua abitazione con un biglietto ferroviario per Mascalucia, in Sicilia, ma non andò alla Stazione e si recò invece in una pensione, dove trascorse alcune notti. La mattina del 4 luglio lasciò la valigia con gli indumenti al deposito bagagli e lo stesso giorno della morte, il 5 luglio, imbucò una lettera ai familiari, verso le 6 di sera. In quella lettera la ragazza avvisava i familiari che stava per sposarsi. Poi più niente.
Dal comportamento appare evidente che avesse un progetto di cambiamento di vita. Qualcuno le ha fatto sperare che fosse possibile un matrimonio? Qualcuno che invece non aveva affatto intenzioni del genere. Perché aveva chiesto allora solo un mese di permesso? Forse la sua intenzione era di sposarsi e poi tornare al lavoro? Possibile. Ma se venne denunciata la sua scomparsa dai datori di lavoro, o loro non credettero al permesso di un mese o non ci fu nessun permesso di un mese, ma solo un allontanamento di qualche giorno per organizzare un matrimonio, una fuga d’amore o peggio un aborto (allora illegale). Ma allora perché acquistare un biglietto per la Sicilia, per poi fermarsi a Roma altri tre giorni?
Anche qui un cambio repentino di programma, indotto da chi e perché? E come sarebbe avvenuto il matrimonio e dove, se non c’era traccia di prenotazioni né in Chiesa né in Comune? Era una invenzione per tenere tranquilla la famiglia in Sicilia? Forse stava progettando una fuga d’amore? Forse aveva solo creduto a delle menzogne del fidanzato?
I reperti di Antonietta Longo al Museo della Criminalità. C’è l’orologio Zeus che aiutò a identificare il cadavere
Solo in seguito la Polizia è venuta a sapere di un certo Antonio che avrebbe potuto essere il fidanzato. In effetti durante le indagini questo nome era stato fatto da dei testimoni che l’avevano vita al bar prima del 5 luglio. Si sa che era stata da un sarto con un uomo per ordinare un vestito. Tra i suoi fidanzati sono risultati un impiegato del ministero dell’Aeronautica e altri corteggiatori o flirt, tra cui anche dei poco di buono ma siamo nella normalità per quegli anni. La storia del matrimonio è sempre più una ipotesi poco credibile, detta da un fidanzato per convincerla e truffarla.
In effetti mentre venne ritrovata la valigia con il corredo completo, non venne mai ritrovata l’altra con 331mila lire (168 €, ma per quegli anni una somma ragguardevole. Forse l’assassino si era impossessato delle chiavi della cassetta e aveva ritirato la somma dopo aver assassinato la donna? Dalle dichiarazioni delle amiche risulterebbe che la giovane avesse dei problemi economici, la vedevano diversa, più strana, anche se ne parlarono come di una brava persona. Forse la necessità di mettere a posto la sua vita le aveva fatto credere alle promesse di un fidanzato? Di fatto la Polizia non ha mai trovato le prove per incriminare un possibile assassino, né venne mai stabilito un movente, anche se appare evidente che si tratta di un raggiro a sfondo sessuale, con rapina e omicidio, anzi femminicidio.
La stessa cosa è accaduta per il Caso Montesi. Se questi due omicidi fossero avvenuti adesso, ai nostri giorni, risulterebbero ascritti all’elenco delle uccisioni di donne da parte di uomini violenti e malvagi. Uomini che si approfittano della ingenuità, della buona fede, della disponibilità di donne in cerca di una soluzione per le loro vite, un Amore, un Matrimonio, una Carriera. In un caso c’è di mezzo un aborto e nell’altro forse un tentativo di stupro.
Il caso Longo venne archiviato e neanche la testa di Antonietta venne mai ritrovata. Oggi il corpo della povera domestica riposa nel cimitero di Mascalucia. Solo due anni dopo, nel 1957, un detenuto di Regna Coeli accusò suo cognato Giuseppe Bucceri di essere il possibile assassino. Il Bucceri era un uomo abituato a truffare le donne con false promesse di matrimonio. Ma la Polizia non trovò i riscontri necessari a rendere attendibile questi sospetti. Così la pista venne abbandonata.
Incredibilmente nel 1971 fu il datore di lavoro di Antonietta, il dottor Gasparri, a ricevere una lettera anonima. In quella lettera si diceva che Antonietta era morta durante la pratica di un aborto e successivamente trasportata sul lago e decapitata. In altre due lettere anonime che seguirono, inviate al procuratore generale della Corte d’appello di Roma, si parla di un’emorragia che avrebbe causato la morte di Antonietta. Che all’aborto era stata costretta dal fidanzato e ritorna il nome di Antonio. Descritto come un pilota di aviazione civile a capo di una banda di contrabbandieri.
Che l’uomo fosse già sposato e questo fa pensare a una minaccia da parte di Antonietta nei suoi confronti, per lo stato di gravidanza. Forse il possibile assassino l’ha costretta ad abortire. Forse a questo sono serviti quei soldi, le 331mila lire? Ma poi un Antonio venne trovato e nessun indizio a suo carico risultò verificabile, così senza prove sufficienti il caso venne chiuso e ancora aspetta una soluzione.
Nel 1987 un pescatore trovò un teschio nel Lago di Albano, ma non era quello di Antonietta. Il cranio apparteneva a un uomo.
Come sappiamo la giustizia non si ferma mai. Sempre si può riaprire un caso irrisolto. Sempre è possibile riscontrare i dati di una denuncia, verificarli. Assicurarsi che le prove sia inconfutabili. Nella speranza di riuscire a trovare un giorno la soluzione a questi enigmi, continueremo a parlare dei delitti irrisolti nel Lazio, nel tentativo di imbattersi in un testimone o in un assassino vinto dal senso di colpa.
Nella Regione Lazio e a Roma in particolare, vivono molte persone single, soprattutto ragazze che studiano o cercano di aprirsi a una carriera nel mondo dello spettacolo o magari si adattano a fare le cameriere in un ristorante o come donne delle pulizie o badanti presso famiglie private.
In questi ultimi anni molta attenzione è stata rivolta ai casi di femminicidio o anche ai casi di truffe, scaturiti dalla frequentazione dei social network, dove siti di incontri tra single sono tra i più frequentati e dove la possibilità di trovare un danno invece che un amore è più probabile. Nei prossimi articoli indagheremo sui casi di omicidi irrisolti o pieni di mistero e sui pericoli di chi vive da solo e si aspetta dai social network una risposta soddisfacente ai propri desideri e ai propri sogni.
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