Interviste

Delitto di Arce, il criminologo: “Porta della caserma come arma? mai dimostrato”

Secondo Carmelo Lavorino, criminologo, investigatore, giornalista e consulente di difesa della famiglia Mottola, indagata nel delitto di Arce, quello di ieri sera, 15 gennaio, nella trasmissione “Chi l’ha visto” è stato un servizio “squallidamente fazioso-parziale-non obiettivo, al servizio ideologico di una tesi squinternata che strumentalizza le sofferenze dei familiari della vittima e l’onore della Benemerita, stravolgendo dati oggettivi e verità”. Per questo abbiamo ascoltato l’investigatore, per ascoltare le sue tesi, meticolose di precisazioni di tipo tecnico e scientifico, che mettano in luce la versione dei fatti della difesa. 

La prima obiezione che lei solleva riguarda la zona del cranio dove la vittima ha subito la lesione e l’incompatibilità di essa con l’arma del delitto…

“La zona del cranio della vittima che ha subito la lesione e che avrebbe impattato contro la porta dista da terra dai cm 138 (min) ai cm 146 (max). Cm 140 se – come appare logico – la vittima avesse avuto i piedi distanti e il baricentro leggermente abbassato, cm 146 se fosse stata in posizione eretta coi talloni uniti. La prima posizione appare la più probabile, la seconda difficilmente irrealizzabile, considerata anche la dinamica della spinta e dell’interazione aggressore-vittima. La lesione sulla porta ha il centro o punto d’impatto a cm 154 da terra, lesione che inizia a cm 150 da terra per terminare a cm 159 da terra.
Per la deformazione perimetrale definitasi nel contesto della porta e secondo il suo asse prospettico di profondità non si comprende come ancora non siano state coinvolte le ossa nasali omolaterali o vi siano stati altri danni alle superfici dei tessuti molli cutanei sempre omolaterali o come ancora ai tessuti duri dentari o a quelli dei processi alveolari.
La lesione sulla porta è più alta rispetto la lesione sul cranio della vittima: c’è un dislivello di almeno 6 cm, tale situazione rende impossibile lo scenario della testa di Serena Mollicone che vada a impattare contro la porta, fermo restando che in seguito a una spinta violenta verso la porta il baricentro della vittima si sarebbe abbassato e il capo si sarebbe reclinato, così abbassando di qualche centimetro da terra la zona corporea d’impatto: ciò non coincide anzi, rappresenta un vulnus insormontabile con lo scenario che vede la porta essere “l’arma del delitto, ovvero il mezzo che ha provocato la lesione sul cranio della vittima”.
E quindi cosa ci dice della relazione svolta dalla dottoressa Cattaneo del laboratorio Labanof?
“L’enunciato-presupposto nonché conclusione contenuto nella Relazione Cattaneo “… la frattura (NdA: sulla porta), vale a dire a 1.54 m in media dalla sua base (da terra) coincide con l’altezza approssimativa di Serena Mollicone, vale a dire 1.55 cm circa (come da verbale autoptico)” È falso perché detta frattura sula porta non coincide assolutamente con la quota di altezza della regione superiore laterale dell’orbita individuata dalla relazione Cattaneo, quota massima di cm 146 (con inizio cm 138 da terra) e non sicuramente di cm 154.
La relazione della prof.ssa Cattaneo non tiene conto che in caso di “Serena Mollicone sbattuta contro la porta”, con assoluta certezza, il capo della ragazza doveva essere reclinato verso il basso, con conseguente abbassamento della quota d’impatto e della zona lesionata sulla porta.
Non vi è alcuna possibile corrispondenza fra i due corpi che avrebbero impattato, cioè, la testa della vittima Serena Mollicone “la regione zigomatica, orbitale e temporale sinistra” (distante da terra da cm 146 se in posizione a talloni uniti ai cm 140 se in posizione normale) e la zona della porta dove è osservata e documentata la lesione (altezza da terra cm 154).
Nulla di quanto sopra cambierebbe se la vittima fosse stata sbattuta o spinta o se avesse impattato contro la porta calzando gli scarponcini, così elevando la propria posizione di cm 1,5, fermo restando che in una situazione dinamica di colluttazione, laddove una ragazza viene sbattuta con una porta, la stessa non è in posizione di “attenti militare”, bensì ha il baricentro (e quindi il capo) abbassati di circa 5 cm e sicuramente deve piegare la testa verso il basso e verso la direzione di moto.
Dimostrato che il presupposto della tesi è errato e che la tesi è errata e del tipo impossibile perché si basa su un dato falso, i sottoscritti gradiscono considerare e rappresentare brevemente i seguenti aspetti: se la vittima fosse stata sbattuta contro la porta, questa doveva essere aperta con una certa inclinazione o chiusa: nel primo caso la lesione sulla porta non poteva prodursi così come si è prodotta perché la porta avrebbe continuato il moto verso l’interno con alleggerimento del carico di rottura al momento dell’impatto; nel secondo caso (chiusa solo per accostamento o chiusa a chiave) la lesione sulla sarebbe stata di minore entità, anche per l’elasticità e per un contraccolpo di minore devastazione, essendosi la potenza dell’impatto scaricatasi sugli stipiti; la lesione sulla porta è situata sulla parte opposta alla direzione d’apertura della porta (si deduce dalla posizione delle cerniere e dalla formazione dello stipite), al che, nello scenario ipotetico della Mollicone che sbatta perché spinta violentemente contro la stessa, la porta avrebbe avuto la tendenza reattiva ad andare verso l’indietro (se aperta) e se fosse stata chiusa avrebbe assorbito l’impatto della zona zigomatica in uno stato di elasticità e non di rigida fissità come al punto precedente e come hanno apoditticamente ipotizzato i CT del Pm a Milano;

Gli esperimenti effettuati dal LABANOF sulla porta gemella poggiata sul pavimento non riproducono lo stato di elasticità e/o di fissità di una porta fissata nella sua posizione naturale (verticale) – a prescindere se chiusa o aperta (se chiusa era accostata, chiusa a chiave? Se aperta qual era la sua posizione?) – e sono contestabili per metodo e per principio: basti pensare che la “porta gemella” era distesa sul pavimento e che la “testa di resina della vittima” piombava dall’alto contro la porta fissa che produceva il contraccolpo di reazione (si allegano alcune foto scattate da questi Consulenti mentre i CT del Pm effettuavano l’esperimento tecnico); a questi Consulenti è ignara la catena di custodia di tutti i reperti, così come scrive lo stesso capitano Cesare Rapone nella sua relazione del 16.4.2016; certo è che la “porta gemella” ha subito toccamenti, manipolazioni, esperimenti, colpi e fratture, tanto che (A) il laminato è stato lesionato almeno 30 volte e che l’interno del compensato (impiallacciatura priva di truciolato) si è sparso negli/sugli ambienti dove il tutto è avvenuto, (B) si disconosce la catena di custodia dei reperti;
Le tracce di Dna rinvenuto sulla porta dal capitano Rapone (reperto 99) e sull’impronta papillare rinvenuta dalla d.ssa Cristina Fattorini e dalla d.ssa Cristin Boschetti del SIPS della Criminalpol e dal prof. Giuseppe Novelli sul reperto 15 D (nastro da imballaggio che avvolgeva Serena Mollicone) sono del ten. col. dei CC Luigi Soravo

Sottolineo che tutte le tracce riferibili a soggetti che sono venuti a contatto col corpo e gli oggetti della vittima non sono riferibili ai nostri assistiti m.llo Franco Mottola, signora Annamaria Mottola, sig. Marco Mottola”.

Per quanto riguarda gli altri elementi, come l’orario del decesso della vittima, cosa può dirci? 

L’orario del decesso della vittima ed altri aspetti criminalistici, criminologici e investigativi, compresi i riferimenti temporali che la Relazione Cattaneo produce verso le ipotesi del medico legale Prof. D’Aloja “sono molto superficiali” e soprattutto non condivisibili:
occorre impostare la c.d. “autopsia psicologica” sul brig. Santino Tuzi perché capire “perché ha fatto quello che ha fatto, perché ha detto quello che ha detto”, anche perché è inconciliabile il fatto che il brig. Tuzi,il quale risulta essere uomo e carabiniere onesto, fermo, coerente, con alto senso della legalità, tutore dell’ordine, mai e poi mai – avesse assistito a un reato (entrata della Mollicone nella caserma e percezione dell’aggressione ai suoi danni) – avrebbe permesso tale reato, avrebbe omesso di avvertire i superiori provinciali e la Procura sorpassando il m.llo Mottola, si sarebbe reso complice di tale misfatto, lo avrebbe taciuto per ben sette anni così causando, oltre la negazione della giustizia a Serena, addirittura la carcerazione di Carmine Belli, avendo taciuta l’esistenza in vita della Mollicone alle ore 11 del primo giugno mentre il Belli era accusato di averla catturata un’ora prima; si indica di effettuare (se non già avvenuta) la comparazione delle impronte digitali del sig. xxxxxxxxxxxxxx e del sig. xxxxxxxx xxxxxxxxxx con quelle del soggetto ignoto rinvenute sul nastro adesivo Ghost che legava le gambe di Serena fra le ginocchia e le caviglie; sulla compatibilità tra i microframmenti sul nastro adesivo che avvolgeva il capo della vittima, quelli di legno della porta e quelli del coperchio della caldaia si ritiene che trattasi di compatibilità generica e non assoluta e che trattasi di conclusioni che concludono per una compatibilità non certa: l’incertezza della prova è evidente.

L’informativa dei CC del 19.02.2019, sulla quale si base la richiesta di rinvio a giudizio, presenta molte imprecisioni errorifiche che in qualità di presupposti determinano un risultato finale fallace, basti citare che: 1) Carmine Belli non ha avvistato Serena Mollicone alle 10.30 circa del 1° giugno 2001 presso il bar Della Valle, bensì ha avvistato un’altra ragazza e tale avvistamento è accaduto il 31 maggio 2001Carmine Belli non ha subito alcuna perquisizione nell’officina e/o in casa nel giugno del 2001, bensì l’ha subita l’anno dopo, nel 2002; 3) non tiene conto che Serena Mollicone venne avvistata da altre persone alle ore11:30, alle 11:45 ed alle 13:15 circa non essendo state rinvenute tracce di sangue sui suoi indumenti (felpa, reggiseno e maglietta) nonostante la ferita sull’arcata sopraccigliare sinistra definita “ferita del pugile” (di immediato e copioso sanguinamento) o era nuda al momento dell’inflizione del colpo alla tempia o che indossava altri indumenti; 5) non tiene conto che tre persone descrivono Serena con una maglietta chiara e non con quella a sfondo rosso; 6) vi sono elementi contrari e molto forti al posizionamento di Marco Mottola nella caserma CC di Arce nei momenti topici; 7) non vi è alcun elemento scientifico che posizioni la vittima Serena Mollicone sui luoghi topici del crimine (caserma) asseriti”.
Di cosa avete dunque bisogno per avere un quadro completo di prove relative a tutti gli elementi che ci ha enunciato e spiegato?
“In conclusione dico che occorrono i Cd audio delle dichiarazioni di Santino Tuzi e del suo confronto con la signora Torriero, anche perché, dalla lettura delle sue escussioni (29 marzo 2008 e 9 aprile 2008) si deduce un clima non sereno per lui, specialmente nella seconda, dove il Tuzi viene “pressato-incalzato” con frasi del tipo “un cazzaro”, “Si guardi allo specchio e cerchi di non sputarsi in faccia” e che, nonostante sospettato di reati e nonostante lo stesso Tuzi avesse chiesto la presenza di un legale, questa gli è stata rifiutata”.

Redazione

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