Parla davvero ai rivoltosi francesi, Luigi Di Maio? O indirizzando a loro il post apparso ieri sul Blog delle Stelle e intitolato “Gilet gialli, non mollate!”, si rivolge innanzitutto ai sostenitori e ai simpatizzanti italiani del M5S?
Mettiamola così: di sicuro il fronte interno non è meno importante di quello estero. Qui in Italia l’immagine del MoVimento è un po’ appannata delle esigenze di governo, sia a livello nazionale sia nel Comune di Roma, e l’avvicinarsi delle Europee esige un rilancio.
Lodare i barricadieri transalpini serve appunto a questo: a rispolverare le parole d’ordine più accese, fatalmente offuscate dalle tante limitazioni della politica concreta. Essere arrivati a Palazzo Chigi, o alla guida del Campidoglio, significa pagare pegno a ciò che è reso impossibile dai vincoli di bilancio o da altre situazioni troppo complesse per essere spazzate via in un amen. I programmi elettorali vanno ridimensionati e la credibilità ne risente.
Quanto più i proclami precedenti erano ambiziosi, tanto più si fa stridente il confronto con la realtà successiva: chi non è proprio arciconvinto, e quindi pronto a mantenere inalterato il proprio sostegno, si trova davanti a questo scarto tra le promesse e i risultati effettivi e almeno qualche dubbio gli viene. Mentre gli oppositori, vedi l’incessante campagna di discredito condotta (tra gli altri) da Repubblica, non perdono occasione di gettare benzina sul fuoco: presentando ogni rallentamento come un cambio di direzione. Ogni aggiustamento come un voltafaccia. Ogni rettifica come un tradimento.
Di Maio punta a un’identificazione totale, tra il M5S e i Gilet gialli. Già nelle prime righe del suo post scrive: “Sappiamo cosa anima il vostro spirito e perché avete deciso di scendere in piazza per farvi sentire. In Francia, come in Italia, la politica è diventata sorda alle esigenze dei cittadini (il grassetto, qui come nelle altre citazioni che riporteremo, è nell’originale, ndr) che sono stati tenuti fuori dalle decisioni più importanti che riguardano il popolo. Il grido che si alza forte dalle piazze francesi è in definitiva uno: fateci partecipare!”.
In linea con questa premessa, la questione su cui si insiste con maggior forza è quella della democrazia diretta. Che viene definita “una rivendicazione importante perché dà il senso a tutte le altre vostre richieste”. E che induce Di Maio a offrire ai Gilet gialli – ovvero a chi dovesse riuscire a organizzarli in un soggetto politico stabile o addirittura in un partito – “alcune funzioni del nostro sistema operativo per la democrazia diretta, Rousseau, per esempio call to action per organizzare gli eventi sul territorio o il sistema di voto per definire il programma elettorale e scegliere i candidati da presentare alle elezioni. È un sistema pensato per un movimento orizzontale e spontaneo come il vostro e saremmo felici se voleste utilizzarlo”.
E sui problemi economici? Un riferimento esplicito c’è: “Così come altri governi europei, quello francese in questo momento pensa in particolar modo a tutelare gli interessi delle èlite, di chi ha vissuto di privilegi, ma non più del popolo”. Ma è la classica dichiarazione di principio che resta abbastanza nel vago. E che si presta a esaurirsi in un sostanziale avallo del modello dominante, anche se con taluni correttivi.
Ancora una volta bisogna domandarselo, per quanto riguarda i Cinque Stelle: è solo una tattica per non allarmare troppo l’elettorato meno estremista?
Sarebbe bello pensarlo. Ma o prima o dopo si dovrà uscire allo scoperto e chiarire fino a che punto ci si vuole spingere. O fermare. Se ci si accontenterà di attenuare le attuali disuguaglianze o se invece si mirerà a bloccare i meccanismi, innanzitutto finanziari, che le producono e che le rendono così gravose.
La differenza è abissale.
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