La didattica a distanza e comunque il politically correct nella scuola è sempre stato un pallino di alcuni burocrati. Riguardo alle Istituzioni, i politici faranno mostra di modificarle nell’interesse dei cittadini, giustificando il tutto con l’attuale stato di necessità. Ciò accade in particolare con la scuola pubblica, chiusa per distanziamento sociale. Ci si sarebbe potuto porre un problema di validità dell’anno scolastico, ma, per salvare una forma di legalità si è fatto ricorso alla “didattica a distanza”. Nella cui promozione hanno dato il meglio (o il peggio) di sé gli pseudopedagogisti del Ministero, da sempre favorevoli all’e-learning.
Perciò è incrementato a dismisura il lavoro dei docenti a casa, costretti a trascorrere intere giornate davanti al PC per ideare compiti da inviare agli allievi, ricevere e correggere gli elaborati, rinviarli. Inoltre, collegarsi in videoconferenze con colleghi e dirigenti. Un lavoro non soltanto eccessivo (qualcuno pensa che sia il triplo o quadruplo del normale), ma anche inutile. Infatti, si può ragionevolmente supporre che l’elaborato ricevuto sia stato eseguito dall’alunno? Inoltre, ci sono insegnanti che fanno videolezioni con le classi, ma l’esito non è dei migliori. Manca il rapporto diretto che si aveva in aula, con la possibilità di far domande, fermarsi, fare chiarimenti. Ne consegue anche un grave senso di frustrazione per una professione che è stata, nel corso degli anni, vilipesa e snaturata.
Ma il ministro e l’informazione mettono l’accento esclusivamente sui disagi degli studenti e delle loro famiglie, affermando che rispondono positivamente con l’impegno da casa. Inoltre, molti non hanno la disponibilità di PC o smartphone. Come ciliegina sulla torta si pone infine la garanzia della promozione garantita per tutti, sottolineando che non si tratta però di un “6 politico”, poiché si daranno i voti “reali” con l’impegno del recupero a settembre. Impegno che, per chi conosce le dinamiche, ricade totalmente sulle spalle del docente. Perché, come affermato in tante normative e circolari (già da Luigi Berlinguer e Fioroni, per esempio ) se il recupero non avrà esito positivo sarà colpa dell’insegnante che non ha saputo condurlo, non delle carenze dell’alunno.
Pertanto questa garanzia è molto peggio di un “6 politico”; sarebbe più intellettualmente onesto, viste le difficoltà, dichiarare il presente come “anno di grazia”. Invece si vuol salvare l’apparenza di un esame “serio”, almeno per la scuola media superiore, per cui si è deciso di svolgere una sola prova orale, abbassandone di fatto la qualità al di sotto di quello svolto sinora con la tesina nella scuola media inferiore. Poi, a cose fatte, il MIUR ed il suo braccio armato, l’Invalsi, ci snoccioleranno la solita litania delle statistiche OCSE che dimostrerebbero che i nostri studenti sono tra i meno preparati in Europa.
Se fosse vero, è un effetto puramente voluto da anni di politica scolastica dissennata, che ha svuotato la scuola della sua funzione fondamentale, la trasmissione e riproduzione delle conoscenze, per riempirla con i più variegati “bisogni sociali”. Tutte le riforme, grandi e piccole, realizzate da direzioni sia di destra che di sinistra, hanno messo al centro della scuola il giovane non più come allievo, ma come “utente”, che ha il diritto di scegliere cosa gli serva prendere dall’offerta formativa di un istituto; anzi, questo processo si è attuato compiutamente e ideologicamente con la gestione della sinistra.
Ricordiamo che fu il ministro Berlinguer che regalò ai giovani il politically correct “Statuto dei diritti e dei doveri delle studentesse e degli studenti”, che sanciva la centralità dello studente nel processo educativo. Infatti, in esso si afferma che il docente all’inizio dell’anno deve “contrattare” con la classe il programma da svolgere, motivandolo; inoltre, la valutazione deve essere immediata e “trasparente”, comunque sempre soggetta a revisione ( ! ). Il docente deve offrire agli studenti lo stesso rispetto che pretende per sé. Infine, stabilisce che qualsiasi sanzione disciplinare debba avere carattere “rieducativo”; di fatto la abolisce, istituendo anche degli organi di garanzia in cui l’insegnante si trova in minoranza.
Iniziò pure la riforma degli indirizzi di studio, per adeguare la formazione dei nostri studenti agli “standard europei”, assunti apoditticamente come giusti. Prima di allora avevamo licei che preparavano bene al proseguimento degli studi, istituti tecnici e professionali che formavano validi quadri intermedi ed operai specializzati. I nostri studenti meno preparati erano superiori ai migliori della corrispondente scuola francese o inglese. La riforma svuotò di contenuto le singole materie e ne semplificò, anzi ne appiattì i metodi, per rendere lo studio più “leggero” ed alla portata di tutti. Del resto, lo scopo principale della scuola non era più quello di fornire molti individui preparati, di cui la produzione tecnologica non aveva più bisogno. Bensì era quello esplicitamente dichiarato nelle commissioni europee (vedi il Trattato di Lisbona) di “non lasciare nessuno indietro”, di togliere i giovani dalla strada.
Perciò furono aboliti gli esami intermedi e si abbassò la qualità di quello finale, alterandolo profondamente nelle modalità di svolgimento e nelle valutazioni ; il risultato è l’ammissione generalizzata e la promozione al 98%, in pratica totale. Purtroppo, questa non coincide più né con la promozione sociale, né con una decente crescita culturale dell’individuo, come si vorrebbe far credere. Oggi gli assertori e i difensori accaniti della “didattica a distanza” affermano che al giovane non sono più necessarie nozioni specifiche, ma “competenze” che gli consentano di orientarsi.
E’ ciò che è stato scritto già molti anni fa da un commissione UE che affermava la necessità di formare i giovani ad una cittadinanza europea e perciò stabiliva per i programmi scolastici di tutti i Paesi aderenti delle linee- guida, pomposamente battezzate assi irrinunciabili dei saperi.
Essi sono quattro : 1) linguistico ; 2) matematico ; 3) scientifico ; 4) storico-sociale, articolati in maniera alquanto farraginosa, per ognuno dei quali il giovane deve acquisire specifiche competenze. In estrema sintesi: padronanza della comunicazione verbale e scritta nella lingua madre ed almeno un’altra della comunità; capacità di ragionare “per problemi”, sviluppando abilità utili ad “orientarsi” nel contesto della vita familiare, sociale e del lavoro; conoscenze di base della storia e dell’arte europee in modo tale da apprezzare il patrimonio artistico; conoscenza elementare di diritti universali e individuali. Quindi,il giovane cittadino così“formato”, potrà spostarsi liberamente nel mercato del lavoro europeo, come una merce intercambiabile! A me sembra invece che tutta questa artificiosa costruzione sia fatta ad arte, affinché il Potere economico-finanziario domini la vita e la mente degli individui, inducendoli a credere di essere liberi.
Parallelamente all’imposizione delle riforme suaccennate, è stato svilito il ruolo culturale dei docenti, fino al punto da ritenerli inadeguati al nuovo tipo di scuola, anche dopo aver conseguito titoli ed esperienza. E’ stata introdotta forzosamente una loro formazione ad hoc secondo i dettami dei pedagogisti dell’uniformità dell’apprendimento, base del successo formativo garantito per lo studente. Tutta questa architettura dovrebbe essere di necessità distrutta, ma l’impresa non è affatto semplice.
Una cosa fondamentale che dovrebbero fare gli Insegnanti, sarebbe quella di costruirsi una loro Associazione Professionale autonoma. Dovrà essere indipendente da partiti e sindacati che hanno veicolato le ideologie e che hanno distrutto il loro ruolo e asservito la funzione docente alla demagogia degli “interessi sociali” dell’utenza. Forse, una prima forma di protesta potrebbe attuarsi con il rifiuto civile di assolvere i gravosi e inutili compiti burocratici della didattica a distanza.
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Articolo ben strutturato che condivido pienamente. Si capisce che è stato scritto da chi ha lavorato per anni nella scuola e ne conosce a fondo le problematiche.