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Disputa nel gruppo dei discepoli

L’ episodio dei figli di Zebedeo (Mc. 10, 35-45), che segue al terzo annuncio della Passione, fa parte degli insegnamenti di Gesù sulla sorte che lo attende a Gerusalemme e con i quali spiega ai discepoli in che modo la loro vita sia legata al suo destino. Il terzo annuncio della passione è formulato più nettamente dei due precedenti: Egli sarà consegnato ai gran sacerdoti e agli scribi, condannato a morte, consegnato ai pagani, schernito, coperto di sputi, flagellato, messo a morte, risuscitato dopo tre giorni.

Partecipazione al calice e al battesimo (vv. 35-40)

Un’antica tradizione fa di Giacomo e Giovanni i cugini di Cristo. In questa prospettiva è più facile comprendere la loro richiesta di sedere a destra e a sinistra di Gesù nel Regno futuro. Inizialmente la loro richiesta assume la forma di una rivendicazione: “Noi vogliamo…”, una volontà ferma che sollecita un favore. Per prima cosa, Gesù approfondisce la loro domanda, concedendo ad essi il tempo di giudicare la rettitudine delle proprie intenzioni. Essi pensano immediatamente alla gloria del Maestro e ambiscono a condividerla, senza sapere che i posti alla sua destra e alla sua sinistra saranno occupati dai ladroni crocifissi con lui. La strada della gloria passa attraverso le sofferenze e la croce: essi, come Pietro, non pensano minimamente ad un Messia sofferente.

Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato? (v. 38). Generalmente la Bibbia parla di “calice” di vino per indicare metaforicamente il destino di un uomo. L’immagine parallela del “battesimo” è esclusiva di Marco: il battesimo è collegato con la purificazione interiore e con il rimettersi al giudizio di Dio e questo fornisce a Gesù un’immagine capace di evocare la relazione che intendeva stabilire tra la sua morte e il peccato degli uomini. Domandando ai due fratelli se possono bere il calice e ricevere il battesimo con lui, Gesù li invita a consacrargli tutta la vita e li prepara all’eventualità del martirio. Com’è noto, molto presto gli apostoli dovettero soffrire per il nome di Gesù: l’apostolo Giacomo sarà il primo a subire il martirio per mano di Erode.

Gesù non accoglie la richiesta precisa dei figli di Zebedeo poiché rifiuta di far proprie le rappresentazioni di un Messia che dispone a piacimento di una gerarchia di posti d’onore. Però non rimprovera loro la visione della sua gloria; la purifica e li invita ad approfondire la relazione con la sua persona. Garantisce loro questa relazione mediante una partecipazione effettiva al mistero della sua sofferenza per i peccati degli uomini: questa è la missione ricevuta dal Padre. Gesù non ha alcun potere sulla libera disposizione che il Padre esercita sulle singole persone e cose. E’ Dio che dispone dell’uomo e non viceversa. Abbandonarsi alla libera disposizione del Padre non significa andare all’avventura; significa abbandonare le proprie sicurezze nella certezza che il destino preparato da Dio a ciascuno è quanto di meglio si possa desiderare. Come Gesù ha liberamente assunto la missione messianica affrontando la sofferenza e la morte, così al discepolo è dato di impegnarsi nelle prove del tempo presente rinunciando a se stesso e portando la croce dietro il maestro. Dio, insomma, ha preparato la realtà della nostra propria esistenza che condivide con noi.

Dare la propria vita in riscatto per molti (vv. 41-45)

La seconda parte dell’episodio ci fa assistere alla reazione degli altri dieci discepoli, che nutrono le medesime speranze degli altri dieci discepoli. E’ raro che Gesù alluda concretamente alla politica del suo tempo; qui però, egli ne svela l’ambiguità dei maneggi. Si tratta di un processo in piena regola della strategia politica, a tutti i livelli: Gesù si oppone ad ogni forma di governo fondata sull’ambizione, sui beni economici, sugli onori. Ma che cosa mette al suo posto? E’ indispensabile un rovesciamento dei valori: potremmo definirlo il rovesciamento evangelico. La presenza di Dio nel mondo provoca una rivoluzione profonda nel cuore dell’uomo. Il gruppo di coloro che seguono Gesù rappresenta dunque un’istanza di contestazione che si riforma prima interiormente: “Fra voi però non è così” (v. 43). Escludendo risolutamente il modello politico dei potenti, definisce la legge fondamentale di ogni società cristiana: “Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servo, e chi vuol essere il primo tra voi sarà lo schiavo di tutti” (v. 43). La comunità di Cristo è caratterizzata da una disponibilità senza condizioni al servizio.

In che cosa consiste questa strategia del servizio in contrasto radicale con la politica del dominio e del potere? Il servizio di cui parla Gesù è essenzialmente una grazia, e l’economia della grazia esclude ogni valorizzazione personale fondata sul merito o sullo sforzo umano. Il principio rivoluzionario introdotto da Gesù nella contestazione del potere che domina e dell’ambizione politica è quello della non-violenza radicale messa a servizio, non solo della difesa dei diritti degli altri, ma della pace e dell’unione tra tutti. Ha la sua sorgente nell’atto d’amore di Cristo che si dona agli uomini affinché la sua morte “serva” alla loro salvezza.  La strategia del servizio è perciò una partecipazione attiva all’amore efficace di Dio per gli uomini: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (v. 45).

Questo termine (riscatto) evoca l’idea della redenzione, la riconciliazione dell’uomo con Dio, l’amore infinitamente misericordioso che colma la distanza impossibile da superare da parte dell’uomo abbandonato a se stesso. Gesù paga il prezzo che l’uomo, debitore insolvente, è incapace di dare, per l’infinito abisso che lo separa dal suo Dio. Nello stesso tempo, si mette al suo posto, diventando vittima, poiché è effettivamente messo a morte a causa del suo gesto d’amore la cui profondità è insostenibile per l’uomo peccatore. Totalmente gratuito, questo riscatto supera ogni sorta di negoziato (pagare un prezzo al Padre). Perciò il Figlio dell’uomo che dà la propria vita prepara e rende possibile l’esistenza cristiana, novità radicale perché rivelazione della universalità e della liberalità del perdono divino. In questo si fonda il servizio cristiano, partecipazione all’efficacia dell’atto redentore di Cristo, che insieme perdona e fa vivere.                                                                                                                

Bibliografia consultata: Radermakers, 1976.

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