Dopo il Salone del Libro svanisce la polemica su Altaforte e il fascismo

E così, da cinquant’anni pare non si possa essere di “sinistra”, senza essere antifascisti…

Taciuti gli ultimi echi del "Salone del Libro" di Torino, svanisce anche la polemica sulla editrice "Altaforte" e sul casapoundismo di Francesco Polacchi, che la dirige. Finalmente un po' di silenzio e qualche riflessione. Prima di tutto, un'occhiata al catalogo del marchio sarebbe stato meglio darla. Ebbene, tra i vari titoli ne sarebbero apparsi alcuni certamente outsider, ma per nulla illegali. Ad esempio, a spiluccare tra le due collane si sarebbe scorto un libro,  L'era delle streghe , scritto da Francesco Borgonovo, un giovane giornalista curioso e vivace il quale ha già pubblicato con Lindau, Sperling & Kupfer, Bietti e Bompiani… Francesco lo conobbi quale persona civile, e la stessa impressione l'avrà avuta, prima di impegnarsi nel prefargli il volume, Claudio Risé, tra i pochissimi psicanalisti con qualche idea intelligente sulle questioni del conflitto tra generi e del declino della paternità. Come vediamo, a volte si tratta di contare fino a dieci e oltre, in modo da evitare quelle solite manifestazioni di immotivata ostilità in cui la sinistra italiana è specialista. 

L'ideologia preconcetta è peraltro ciò che muove da un secolo il nostro patetico paese, al punto che deteniamo il record mondiale di stolti che, a 100 anni dalla nascita dei fasci di combattimento, ancora si dichiarano "fascisti", o che, a 102 anni dalla rivoluzione di ottobre, ancora si definiscono "comunisti". Fosse solo una questione di belle tradizioni, poco avrei da dire. Il piccolo particolare è che in nome del nazi-fascismo e del comunismo, nel XX secolo, sono morti più o meno 80 milioni di esseri umani. 80 milioni di vite che hanno pagato le scelleratezze, le demenze e le criminali utopie di una ideologia e di una dottrina originate, d'accordo, dall'ingiustizia, dalla miseria e dal buio di ogni speranza… Ma a che prezzo! Ora, l'impressione è che proprio non si riesca ad assumere un atteggiamento laico. È come se in Italia, in assenza di nemico, non si dia esperienza. Come se la presenza del nemico fosse l'imprescindibile condizione per pensare qualcosa di importante.

E così, da cinquant'anni pare non si possa essere di "sinistra" senza essere antifascisti. Da venticinque anni sembra che non si riesca a essere di "destra" senza vedere comunisti (o "pidioti", radical-chic, "zecche", eccetera eccetera) ovunque. Un'ossessione reciproca. La malattia mentale di uno Stato dove le idee generali non muovono progetti condivisibili e quasi scontati. Dove infatti non si crea e non si produce quasi più niente di originale. E invece, quelle che continuamente si ascoltano sono opinioni piccine, campanilistiche, prive di qualsiasi riferimento, visionario o concreto che sia. Ci si domanda per quanto tempo ancora i cittadini italiani potranno sottomettersi alla loro particina di gente senza arte né parte, di gruppi volgarizzati e iracondi quanto o peggio di una curva calcistica. Poveri ridotti in miseria che si scagliano contro altri miserabili a cui, in un parossistico esercizio di autoinganno, attribuiscono la colpa della loro indigenza. Parimenti ci si chiede fino a che punto potrà ancora sopportarsi che sedicenti rappresentanti dei bisogni dei meno abbienti continuino a dissimulare la loro opulenza e la loro attiva appartenenza alla classe più agiata.

Abbattere queste equivalenti parate di cartapesta, recitate da personaggi di una pochezza culturale e politica clamorosa, significherebbe spezzare l'ultimo anello di una catena che, ancor oggi, lega mani e piedi di una comunità ridotta a popolino imbelle e vigliacco, che calpesta il pane altrui o che simula una solidarietà da avanspettacolo (non c'è differenza). Affrancarsi da questa doppia falsificazione significherebbe liberarsi dalle mille ipocrisie che ci negano un'esistenza verosimile. Personalmente desidero essere libero di dire che per me abitare accanto a una famiglia Rom senza mestiere e senza mezzi sarebbe una preoccupazione in più, ma allo stesso tempo voglio essere libero di dire che a me fa schifo quello che urla "Ti stupro!" alla sedicenne Rom che sta entrando in un appartamento che gli spetta. E che egli andrebbe arrestato. Voglio essere libero di dire che i carabinieri sono per la stragrande maggioranza dei leali servitori dello Stato ma egualmente voglio poter gridare che uccidere un ragazzo a calci in faccia è stata una porcata che non andava nascosta per nessun motivo al mondo. E dire che a Ilaria Cucchi voglio bene anche se non la conosco e che non è ammissibile che si sparli di una sorella addolorata come se fosse una spregiudicata in cerca di fama.

E vorrei poter dire che negli anni Settanta di "fascisti" ne furono ammazzati tanti, in modo brutale, infame, e che solo pensare a Sergio Ramelli o ai fratelli Mattei, per nominarne tre, fa venire le lacrime agli occhi (e allora c'era chi festeggiava quelle morti di ragazzi e di bambini). Che negare la liberazione dal nazismo come un fatto storico felice è sconfessare la realtà di milioni di individui; che negare le foibe per decenni è stata una indecenza e una vergogna… E che potrei andare avanti all'infinito, poiché tutti questi giudizi esemplari, che un tempo sarebbero stati disprezzati quali contraddizioni qualunquistiche, ormai rappresentano l'ultimo segno di coerenza civile che ci resta. Per ricominciare tutto daccapo; per ritrovare un Paese che le grandi generazioni dei Venti e dei Trenta avevano ricostruito dalle macerie. Ci vorranno anni per rialfabetizzare l'Italia. Bisognerà ripartire dalle tabelline, dall'abicì. Del resto non c'è più attesa possibile. Il trucco di allargare la gabbia per illudere chi urla di essere un uomo libero non funziona più. Questa maledetta gabbia va distrutta una volta per tutte.

Foto Adn Kronos

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