È bastato guardare intorno a me, per capire che Sperlonga non è solo Sperlonga

Tanti parlano di Sperlonga, dei vip che la frequentano, ma non si parla mai del mondo parallelo che affida il suo futuro a un mazzo di perline o al cesto di cocco

Sperlonga, spiaggia e borgo e venditore di cocco

Sperlonga, spiaggia e borgo

Mi era venuto in mente di scrivere di Sperlonga, visto che, come oggi anno, ci passo qualche giorno per le mie vacanze estive. Poi ho pensato che su questo borgo, tra i più belli d’Italia, è stato detto e scritto di tutto. E allora ho cominciato a pensare a qualcosa di diverso, di originale, con cui raccontare questo luogo meraviglioso che sembra un mix tra Positano e Lindos. C’ho messo un po’, ma alla fine l’ho trovato. O meglio, il “qualcosa di originale”, ha trovato me. È bastato osservarlo, il mondo che si muove intorno a me, per capire che Sperlonga non è solo Sperlonga.

A Sperlonga c’è un mondo parallelo

C’è un mondo parallelo a Sperlonga, che nessuno racconta. Perché tanti parlano del borgo, del mare, della vita mondana, dei vip che la frequentano, ma non si parla mai del mondo parallelo che affida il suo futuro, la semplice sopravvivenza, a un sacchetto carico di biscotti, a un mazzo di perline, al cesto con i pezzi di cocco, alle ruote di un carretto che lasciano solchi nella sabbia. Ma Sperlonga è anche questo. E allora la racconto così, la perla del Tirreno.

Attraverso la gente comune, le sue storie che non interessano nessuno, storie di fatica, di speranze, storie che nascono prima di Sperlonga, prima della nostra immaginazione, più grandi, più intense, più vere, di qualsiasi storia da pubblicare sui social o sulle riviste di gossip, storie che a loro modo la rendono più vera. Il mio breve racconto vuole essere un omaggio a loro, le donne e gli uomini di questo paradiso che se è davvero tale, un po’ lo deve anche a loro.

C’è lo storico venditore di cocco che non invecchia mai, polo rigorosamente bianca, bermuda rosa, la cesta con la fette del prezioso frutto avvolte da foglie verdi che fuoriescono dal bordo del contenitore e dondolano al ritmo del passo veloce dell’uomo che ogni poco urla con voce tenorile “Coccobelo!”. Lo senti che è ancora lontanissimo, ma lo senti anche quando sei a casa, la sera e ti fa lo stesso effetto della campana della chiesa che ti rassicura con il puntuale, ritmico, sempre uguale rintocco che foraggia la tua fame di certezze in un mondo che fa di tutto per rubartele.

C’è il cinese con cianfrusaglie di ogni genere che parla napoletano e passa tra i lettini urlando “plego, plego” e poi aggiunge “c’amm’a fa’ “quando qualcuno gli chiede come va. C’è l’acconciatrice di capelli dalla pelle color ebano, un fisico da pallavolista. L’ho conosciuta che era poco più che ragazzina, poi l’ho vista con una stola in cui era avvolta una piccola bambola, anche lei colore ebano, che le artigliava la schiena e ogni tanto si addormentava mentre la madre si aggirava tra gli ombrelloni con un cartello in una mano dove aveva disegnato alcune acconciature, le perline nell’altra, l’espressione triste, infinitamente triste.

E poi è arrivato il fratellino che ha preso il posto della sorella sulla schiena un po’ più ricurva della mamma, la bimba è passata a camminare mano nella mano con la madre, il cartello e le perline penzolanti nella mano libera, il passo stanco, i piedi che affondano nella sabbia, rivoli di sudore sul lungo collo ebano. E la bimba è diventata donna, il fratello è diventato ragazzo. Ho rivisto la madre sola, qualche ruga in più, il passo sempre elegante, i grandi occhi neri che guardano un indefinibile orizzonte lontano, le perline, sempre le stesse, una tristezza a tinte chiare negli occhi scuri che ti sgretola il cuore e ti fa abbassare il capo quando ti passa vicino senza chiederti nulla.

C’è il venditore di biscotti di Castellammare che sorride sempre, un asciugamano sulle spalle con cui si deterge il copioso sudore; passa più volte al giorno preceduto dal grido “Biscotti di Castellammare!” e dal profumo dei biscotti al pepe che costringe lo stomaco vuoto a contorsioni incontrollabili e non puoi fare a meno di corrergli incontro per mettere fine a un supplizio che ti logora più di un giorno lavorativo. Ti racconta sempre di lui, nasconde la fatica dietro denti bianchissimi e quando parla ti sembra di vederlo danzare nel forno tra ciambelle e biscotti mentre la prima luce del giorno carezza il mare placido e i sogni di un mondo ancora sopito ignaro di lui.

C’è il nordafricano che tira un carretto stracolmo di vestiti su cui si avventano orde di donne che paiono non aver mai visto un tessuto in vita loro. Lui si siede sulla sabbia e attende mentre cento mani toccano, rovistano, scavano, spostano, staccano, aprono e mille voci silenziose che insieme fanno un boato si sovrappongono al rumore delle onde che si rotolano scomposte sulla riva finché tutto finisce come per incanto e torna la quiete. Allora lui si alza lentamente, mette in ordine ciò che sembra devastato da un improvviso tornado, afferra i manici del carretto e riprende il cammino col capo chino e la schiena piegata a novanta gradi, lasciando sulla sabbia lunghi solchi, profondi come i segni della fatica impressi nei calli delle mani.

C’è l’indiano con i pantaloni celesti, kurta color smeraldo fino alle ginocchia. Non so quante volte l’ho visto passare col suo carretto pieno di scatole e scatolette, non vende granché. Forse nulla. La gente fa cenno di no con la testa prima che lui si giri cercando di incontrare uno sguardo curioso. Mi chiedo se abbia famiglia. Se la sera abbracci dei figli come fa con le scatole sul carretto quando lo sorprende un acquazzone. O se li pensa lontani, in un’altra terra, in un mondo dove sopravvivere è una magia e sognare un lusso per pochi.

Lo osservo mentre si ferma per detergersi il sudore con la manica del kurta. Sembra un piccolo promontorio fra Terracina e Circeo, azzurro come il cielo sopra le nuvole. Poi si piega in avanti, afferra le maniglie di legno e solleva il carretto socchiudendo gli occhi. Le impronte dei suoi piedi lo seguono mentre scompare inghiottito dall’orizzonte. Per un attimo, un solo attimo, Terracina e Circeo paiono inchinarsi rispettose al suo passaggio. Ma non sono le sole. Anche Sperlonga, borgo incantato, sembra più vicina al mare. Un gigante di pietra bianca piegato dalla tenerezza di un kurta azzurro svolazzante nel vento della sera.