Categorie: Ambiente

E ci mancava anche l’olio tunisino.Cos’altro dobbiamo aspettarci?

C’era una volta l’Italia. C’era una volta un Paese stracolmo di eccellenze conosciute e riconosciute nel mondo. Uno di quei pochi Paesi che riconoscevi a prima vista, al primo assaggio. Oggi, di quel Paese, non rimangono che pochi, pochissimi ricordi. Cartoline ingiallite che raccontano i profumi delle vigne, il sapore delle olive.

C’è voluto un po’, bisogna ammetterlo, ma alla fine, l’allegra compagnia dell’Unione Europea è riuscita a scalfire pesantemente anche l’ultima roccaforte della agricoltura italiana di qualità. L’invasione di olio europeo, evidentemente, non era stata sufficiente per compromettere il lavoro e la vita dei coltivatori italiani. Ci voleva qualcos’altro, un’altra e più potente spallata per buttare giù il muro della qualità nostrana. Qualcosa che arrivasse addirittura oltremare.

Ecco, allora, che l’olio tunisino ben si presta a colmare quel vuoto lasciato dalle eccellenze “de no’ antri”. Chi produce olio di qualità in questo Paese, conosce bene i costi di manodopera e manutenzione dell’uliveto, non ultimi quelli di macinatura, possibilmente a freddo,  delle preziose olive. Costi altissimi spesso mal ripagati, tanto che è divenuto impensabile competere con quel qualcos’altro che arriva da chissà dove.

D’altronde, la maggioranza degli utenti finali, va sottolineato, una volta di fronte allo scaffale del solito supermercato o del negozietto sotto casa sopravvissuto al fisco, di fronte alla miriade di bottiglie di extra vergine dalle etichette più svariate, compra sulla fiducia. Non perde nemmeno un secondo per dare un’occhiata alla “seconda di copertina”, l’etichetta su retro della bottiglia che indica, genericamente, il Paese di provenienza delle olive che sono state usate per la produzione dell’olio contenuto. Nove volte su dieci, quella dicitura, recita: olive provenienti da Paesi dell’UE. Punto.

E allora, soprattutto se quel prodotto è in super offerta, il passo è breve. Dallo scaffale nel carrello in un batter d’occhio. Perché, oggi, si preferisce spendere qualcosa di più per la cover di un telefono piuttosto che su quello che infiliamo nello stomaco.

Con buona pace delle arance “macellate” per far posto ad altro, del Grana Padano che si confonde facilmente con altro, del vino italiano costretto a cambiare nome per non somigliare ad altro, dei pomodori che viaggiano in aereo e diventano altro e delle olive che sembrano tutte uguali ma che sono altro.

A Catania, nel frattempo, migliaia di agricoltori sono in piazza a denunciare lo scempio in atto. In piazza per difendere il Made in Italy che sta scomparendo. Sotto assalto grazie alle politiche comunitarie che stanno trasformando questo Paese in altro, cercano di farsi sentire da una politica sordo muta che, nel frattempo, durante l’ennesima partita a Risiko, ha perso un pezzo di mare. Così, per gioco.

Redazione

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