E’ tempo di letargo per gli esemplari rimasti del più grande predatore italiano. La neve ha imbiancato le splendide montagne del Parco. Visto da lassù il panorama è di una bellezza infinita e sembra che niente e nessuno sia in grado di intaccare uno degli ultimi angoli di paradiso per la fauna italiana. Purtroppo, lo sappiamo bene, non è così. Le voci che si rincorrono lungo tutta la Penisola che raccontano di caccia alla volpe anche in tana (magari con i cuccioli che fanno 100 punti) o di abbattimento auspicato di lupi, nutrie, daini e, non è una barzelletta, della reintroduzione della caccia con arco e frecce come si fosse nel vecchio west, non lasciano ben sperare. Come si volesse distruggere a forza quel poco di patrimonio animale che ancora resiste nel Paese.
Ecco, allora, che la notizia della presenza confermata di tubercolosi bovina nel Parco d’Abruzzo rappresenta l’ennesimo, violentissimo fulmine a ciel sereno che si abbatte nel delicato territorio dell’ultimo orso italiano.
Sono già passati due anni dalle prime manifestazioni di attenzione riguardo alla tbc bovina che le varie associazioni di tutela naturalistica, tra le quali “Salviamo l’Orso”, avevano indirizzato alle autorità. Il focolaio sembrava essere già fuori controllo e i celeberrimi “carotai” (veri e propri mucchi di carote che alcuni allevatori lasciano sulle alture per nutrire il bestiame al pascolo) avevano accelerato la diffusione della malattia o quantomeno il rischio, visto che erano stati osservati, in più occasioni, orsi cui non sembrava vero di poter approfittare del gratuito banchetto.
“I pascoli del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, illustra l’associazione Salviamo l’Orso, sono contaminati dal batterio della tubercolosi bovina e il fatto non è recente. Il primo focolaio, infatti, fu rilevato nel luglio del 2012 e da allora la malattia non è scomparsa e anzi, proseguono, ha mietuto almeno una vittima nella ridottissima popolazione di orso marsicano, una splendida femmina nel pieno dell’età riproduttiva morta nel marzo scorso. Le analisi successive al ritrovamento dell’orsa avevano confermato che la morte era da collegarsi al focolaio di tbc rilevato due anni prima”.
La popolazione dei plantigradi marsicani è esigua. Si tratta di meno di 50 esemplari rimasti ed è palese quanto anche una singola perdita possa rappresentare per il futuro della specie.
La prima individuazione del focolaio della malattia bovina fu individuato in una mandria di vacche in un paese al confine con il Parco, Gioia dei Marsi. “Nei due anni seguenti, ricorda Salviamo l’Orso, reiterati episodi di illegalità da parte di alcuni allevatori, nonché il ritardo o il mancato intervento delle istituzioni coinvolte (ASL, Parco d’Abruzzo, Regione Abruzzo) che sarebbe stato necessario ad arginare e gestire l’emergenza, hanno fatto sì che la situazione divenisse fuori controllo”.
Gli orsi e il bestiame al pascolo, infatti, si abbeverano nei medesimi punti di approvvigionamento. Il sospetto è che diversi capi di animali che avrebbero dovuto rimanere in quarantena siano stati lasciati liberi di pascolare e, comunque, tracce di orsi sono state rinvenute nei pressi di abbeveratoi di animali tenuti in isolamento. Segno che non si è intervenuti correttamente per evitare contatti con la fauna selvatica.
Il piano di bonifica c’è. “Ma non si attua!” Stefano Orlandini è il Presidente di Salviamo l’Orso e la preoccupazione per la questione che si trascina da anni gliela si legge in faccia. “Sono rimasti 50 esemplari di Orso Marsicano, forse meno, dice. E’ una specie unica e meravigliosa e non è possibile pensare che debba scomparire dalla faccia della Terra per la noncuranza dell’uomo. Chiediamo che l’esercizio zootecnico, almeno quello esercitato nelle aree protette, venga pianificato nella forma, nei tempi e nella localizzazione per garantire la compatibilità con la conservazione della biodiversità. E’ fondamentale che nelle aree dove l’orso è presente le attività zootecniche siano subordinate alle esigenze di conservazione della specie”.
Ulteriore considerazione non da poco è quella che si riferisce al possibile contagio umano della malattia. Va ricordato, infatti, che la tubercolosi può essere contratta anche dall’uomo e, come ricorda Orlandini, “quali garanzie ci sono, ad oggi, per coloro che vivono nel Parco o per chi decidesse di visitarlo?”.
Salviamo l’Orso ritiene che la situazione sia ormai fuori controllo e riveli drammaticamente l’insufficienza delle azioni delle amministrazioni competenti nel far fronte alle problematiche della conservazione dell’orso.
“Chiediamo, conclude Orlandini, che venga istituita subito la zona infetta e che questa sia interdetta al pascolo per la prossima stagione. La bonifica dell’area con controlli sanitari e di sorveglianza intensificati”.
L’allarme è altissimo e la sopravvivenza di un patrimonio di inestimabile valore che l’Orso Marsicano rappresenta è appesa ad un filo. Quello della consapevolezza e del buon senso che deve prevalere. Nella speranza che quelle montagne possano conservare ancora a lungo l’ultimo grande orso italiano.
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