Il vangelo della Trasfigurazione (Mt. 17, 1-9), cuore della seconda domenica di quaresima, è estremamente ricco. Gesù rivela ai suoi tre discepoli più vicini la propria identità più profonda, nella relazione con il Padre e in continuità con la storia della salvezza.
Innanzitutto il contesto è rivelatore. L’episodio avviene su un “alto monte” (v. 1), che resta anonimo. Il monte è universalmente percepito come un luogo privilegiato per l’incontro con la divinità; esprime idealmente una maggiore vicinanza al mondo ultramondano. Sul monte avvengono gran parte delle rivelazioni dell’Antico Testamento; nel vangelo il monte è il luogo della preghiera di Gesù, del suo insegnamento e della sua ascensione al cielo, oltre che della sua morte in croce. Accompagnando sul monte i tre discepoli (v. 1), il Maestro accompagna anche noi a una più profonda conoscenza di lui.
Due immagini sono connesse con il simbolo della luce. Quando si trasfigura, il volto di Gesù appare come il sole e le sue vesti bianche come la luce (v. 2). Il paragone col sole è ardito e raro nella Bibbia: è riservato esplicitamente a Dio. Il bianco era ritenuto il colore della divinità. Il tema della luce richiama da un lato la capacità di vedere Dio: Dio è luce perché permette, a chi ascolta la sua Parola, di procedere sicuro e senza inciampi nel cammino della vita. D’altra parte è un rimando anche alla gloria eccelsa nella quale Dio abita: come la luce del sole non si può contemplare direttamente, così la vera natura di Dio risulta inaccessibile all’uomo, che può avvicinarsi a lui solo perché Dio glielo concede nella sua benevolenza.
Connessa con il tema teologico della gloria (luce) è anche l’immagine della nube (v. 5). Essa pure manifesta contemporaneamente la presenza di Dio, ma anche la sua inconoscibilità: egli resta avvolto nel mistero come in una nube. Infatti, se la presenza di Dio è fonte di sicurezza e calore, la percezione della sua radicale alterità da noi suscita il timore. Il sacro si presenta all’uomo come un mistero che contemporaneamente è affascinante e tremendo (Rudolph Otto), fonte di gioia e di paura.
Questa è anche l’esperienza dei tre discepoli (v. 6), come fu anche l’esperienza di Israele nel deserto. Come nel deserto, anche sul monte il Padre fa udire la propria voce. Il tema della “voce” di Dio è del tutto centrale nell’Antico Testamento: la fedeltà al Signore Dio si configura come ascolto della sua voce; egli stesso può poi dirigere questo ascolto verso colui che lui stesso ha scelto come proprio mediatore. Spesso la voce denota anche la potenza di Dio che a volte suscita paura: è la reazione dei tre discepoli.
Sulla scena si presentano Mosè ed Elia (v. 3), in dialogo con Gesù: Mosè è il mediatore della Legge, mentre Elia è il più ardente e rigoroso dei profeti. Insieme rappresentano la sintesi della storia della salvezza. Non stupisce che questi due campioni nella fedeltà al Signore Dio siano presentati in un contesto di gloria, dal momento che anche la loro peculiare fine terrena già adombra una sorte ultraterrena diversa dai comuni mortali.
“Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (v. 5). Il contenuto della dichiarazione del Padre riguarda l’identità di Gesù, definita attraverso la fusione di una serie di passi biblici: figlio (Salmo 2, 7); amato (Gen. 22, 2), compiacimento (Is. 42, 1-4). Questa tessitura di elementi simbolici e rimandi scritturistici concorre a definire chi è quel Gesù che i discepoli stanno seguendo da vario tempo senza avere una chiara percezione della sua identità.
Gesù sul monte introduce i suoi discepoli a una relazione più piena, intima e profonda con Dio attraverso la propria mediazione: è lui il centro spaziale ed esistenziale dell’autentico rapporto con Dio. Nella persona di Gesù abita tutta la presenza di Dio, che nel volto umano del Figlio di Dio può essere intravisto e contemplato. Gesù non è un semplice inviato: è il Figlio, che è investito dal Padre di una missione unica, che richiede l’adesione degli uomini che ne ascoltano la Parola.
Nei suoi occhi, nel suo volto si riflettono la bontà, la tenerezza, il perdono di Dio. Il suo sguardo è indimenticabile. Esprime il fuoco interiore che arde nel Cristo, la passione per il Padre e per gli uomini, l’energia della pienezza. C’è voluta la Trasfigurazione, preludio della risurrezione, perché i tre discepoli privilegiati comprendessero. Il volto sereno di ogni giorno, il volto che irraggia la gloria di Dio, il volto tumefatto e insanguinato del condannato, sono un unico e medesimo volto. La gloria giungerà domani, ma i tratti di quel volto sono quelli di Dio.
Il ricordo di quella luce ci permetterà di attraversare le tenebre e di non soccombere alla tentazione, all’amarezza, allo scoraggiamento. Perché quando la luce viene meno, rimane sempre la Parola, che continua a guidarci anche in mezzo al buio più profondo. Ecco perché l’invito del Padre ad ascoltare il Figlio.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Vuaran, 2023; Laurita, 2023.
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