E’ l’inizio o la fine?
Pur con i saldi la gente non spende, per colpa della crisi e anche perché i prezzi sono troppo alti
Nonostante i saldi la gente non spende. Un po’ per colpa della crisi ma un po’ anche perché i prezzi, in euro, sono troppo alti per i nostri stipendi, che sono in lire. La crisi ha ridimensionato alcuni prezzi, come quelli delle case, che però non si vendono ugualmente, perché le banche non vogliono rischiare finanziando acquirenti dal reddito incerto. Gli stipendi, nonostante la crisi, restano comunque molto lontani dal potere d’acquisto che avevano di prima dell’entrata in vigore dell’euro. I prezzi gonfiati, che nel commercio hanno rapidamente “pareggiato” in modo speculativo, il rapporto euro/lira – facendo in modo che ciò che costava mille lire costasse quasi subito un euro, cioè il doppio – hanno arricchito molte attività, ma ora stanno facendo la nostra, e quindi anche la loro, rovina.
Chi ha accantonato la ricchezza, investendo e diversificando, sopravvive ancora sul mercato, ma gli altri stanno chiudendo. In questi giorni, girando per saldi, non colpiscono tanto le offerte quanto il numero di negozi chiusi o falliti. L’altro giorno sono entrato in un Centro Commerciale, che fino a ieri sembrava un “luna park” e che oggi sembra il deserto dei tartari: negozi vuoti, attività in liquidazione, finti avvisi di prossime aperture per mascherare la desolazione dei negozi chiusi. Sulla sola via Tuscolana, una delle grandi vie del commercio romano, hanno chiuso in un anno 147 negozi! Roba da “day after”. In compenso hanno aperto 3 nuove sedi bancarie.
Insomma, dopo aver scoperto che anche il mio negozio preferito, dopo 20 anni, metteva in vendita “per cessazione attività” i residui del magazzino, me ne sono andato. E tornando a casa mi sono fatto una domanda: questo è l’inizio della fine o sarà la fine che ci prepara a un nuovo inizio? Beato chi ha la risposta.
Quello che sappiamo per certo è che se non si volta pagina siamo finiti. E la pagina si volta solo rilanciando l’occupazione e l’economia. Ma questo lo dicono tutti. Così come tutti dicono che oltre alle attività, sta finendo in liquidazione un’intera categoria sociale: quel ceto medio che era la colonna portante del Paese e che da un lato garantiva la circolazione del danaro e dall’altro forniva la prima linea di coloro che erano pronti a rischiare per migliorare, avviando attività che, in caso di successo, ci consentivano di invadere i mercati stranieri con i loro prodotti, favorendo anche la diffusione di tante attività collaterali e, quindi, di ulteriore benessere.
E’ chiaro che insieme al ceto medio sta arrivando alla canna del gas l’intero Paese, mentre le classi più povere stanno arrivando alla miseria ed alla disperazione. E se i poveri aumentano lo Stato, non più sostenuto dalla vitalità economica del ceto medio, non ce la potrà fare ad aiutarli tutti.
L’economia, non sono certo io a scoprirlo, si rilancia solo in un modo, facendo circolare il danaro. Il danaro circola se c’è lavoro e attività che lo producono e se nella bilancia commerciale del Paese, sono più i soldi che entrano che quelli che escono. Ma se la regola è così semplice e banale, perché non riusciamo ad applicarla?
I motivi sono molti. Qualcuno se la prende con l’Europa che ci impedisce di aumentare i nostri debiti. Ma il vero motivo è l’eccesso di tasse e burocrazia, che producono i due cancri che da decenni divorano l’Italia: l’evasione fiscale e la corruzione. Se ci aggiungete la lentezza delle giustizia penale e civile, che minano la certezza del diritto, il quadro clinico è completo.
Il paziente italiano è stato curato per troppo tempo con le bugie, cure palliative che possono convincere la mente ma che certamente non possono guarire il corpo. Ora il malato è in fase terminale ed è il momento di decidere come curarlo, prima che sia troppo tardi.
Ormai non sono più gli investitori a fuggire dall’Italia, ma i nostri stessi piccoli imprenditori, che all’estero trovano garanzie giuridiche, procedure rapide e una tassazione netta, come in Moldavia, del 12%. Capite? Tasse al 12%, contro il nostro 60%, cioè la possibilità di tenersi in tasca, anche per investire nuovamente, il rimanente 48% del proprio guadagno. Non scappereste in Moldavia anche voi? Purtroppo il nostro malato non ha un solo medico al capezzale ma tre (il PD, il PdL e i Sindacati) che litigano tra loro sulla cura da adottare. Così non inizia nessuna cura. Un giorno lavande gastriche e clisteri, un altro acqua zuccherata e coccole, un altro ancora riti magici. Ma nessuna delle tre è la cura giusta. Per questo il Governo “ibrido” di Letta è un errore pratico, prima ancora che politico.
Per competere servono riforme profonde, che però dovrebbero toccare interessi tanto radicati quanto trasversali; dalle rendite finanziarie ai poteri bancari, dalle lobby professionali (notai, avvocati, magistrati e commercialisti) alle tante caste e castine che si sono lasciate crescere finora, dai politici ai sindacalisti, dai grandi manager pubblici ai singoli dipendenti della pubblica amministrazione, spesso più impegnati a gestire il loro piccolo potere che ad offrire ai cittadini i servizi dei quali hanno bisogno. Il problema è che tutte quelle categorie sono convinte che il loro “status”, cioè i vantaggi che hanno acquisito in questi anni, sia un diritto. Ma non è vero.
I privilegi sono diritti solo quando lo Stato è debole e quando i Governi, che non hanno l’autorevolezza per convincere i cittadini ad avere fiducia nelle decisioni delle istituzioni, ondeggiano indecisi.
Questo Governo, di “mezze porzioni”, guidato da un uomo di centro, rappresentante di un partito diretto da un sindacalista e ricattato da un imprenditore egoista, non potrà mai saziare la fame di cambiamento di questo Paese e quindi non potrà avviare la cura che serve e che sarebbe già tradiva.
Questa estate molti di noi, impoveriti e intimoriti, rinunceranno alle vacanze. Ma molti dei nostri giovani sono già all’estero e stanno per essere raggiunti dalle nostre migliori piccole imprese.
Purtroppo per loro non sono in vacanza, ma almeno non dovranno assistere all’agonia di questo Paese.