E' morto questa notte all'ospedale di Viterbo il pentito ed ex super boss del clan dei casalesi, Carmine Schiavone. Sarebe deceduto a causa di un arresto cardiaco.
L'ex collaboratore di giustizia viveva da alcuni anni in una località del viterbese con la moglie, uno dei figli e una nuova identità. Finito di scontare la sua pena domiciliare da qualche anno, nel 2013 era uscito anche dal programma di protezione per i pentiti. Il nome di Carmine Schiavone, cugino del più noto Francesco Schiavone, detto Sandokan, attualmente all'ergastolo con la formula del 41 bis, era tornato prepotentemente alla ribalta della cronaca quando nel novembre del 2013 raccontò, in una audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti nel 1997 e che divenne pubblica, del sotterramento di materiale tossico e rifiuti pericolosi in quelle zone che ora sono denominate “Terra dei fuochi”, ricostruendo gli accordi tra il clan , la politica e l'imprenditoria per lo sversamento illegale dei rifiuti in Campania.
Le sue intreviste alzarono di colpo il sipario sui mali della cosiddetta “Terra dei fuochi”, locuzione con cui, ricordiamo, si individua una vasta area situata tra le province campane di Napoli e Caserta , caratterizzata dalla forte presenza di rifiuti tossici interrati e soprattutto di numerosi roghi di rifiuti.
Nel corso degli anni il pesante inquinamento ha provocato una vera e propria strage, causando la morte di migliaia di persone, tra cui molti bambini, causa dell' altissima percentuale nell'area di malattie come mielomi, linfomi e leucemie. Schiavone, ritenuto attendibile dai giudici, aveva inoltre raccontato, svelato, altri segreti e attività della nota "famiglia" della provincia di Caserta, come ad esempio l'attività criminale del clan nella zona del basso Lazio tra la provincia di Latina e quella di Frosinone, indicando la discarica di Borgo Montello (Latina), come uno dei luoghi degli sversamenti di scorie pericolose da parte del cartello dei Casalesi.
Secondo alcuni analisti, le famose dichiarazioni rese di fronte alla Commissione presieduta da Massimo Scalia nel 1997, avrebbero anticipato di anni le ricostruzioni sul “trattamento” dei rifiuti industriali delle grandi aziende del Nord del Paese e di quanto il fenomeno sia stato sottovalutato inizalmente sia dalla magistratura, sia dalla politica, che avrebbe “colpevolmente ignorato” la gravità delle rivelazioni del pentito.
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