In un quadro politico in costante sommovimento, capita anche che spuntino convergenze inaspettate e nascano mostri a più teste che avrebbero tranquillamente potuto ispirare i creatori dei miti e delle leggende antiche. Quello che sta maggiormente eccitando la curiosità dei commentatori è una specie di chimera che ha la testa a Cinque Stelle (il che è tutto dire), il corpo del Pd (ma solo di quello renziano) e la coda di Forza Italia (o almeno di quel poco che ne rimarrà dopo che Giovanni Toti e i suoi avranno levato le tende).
È il partito del non-voto, quello che, terrorizzato dalle concrete prospettive dell’irrilevanza politica e della necessità di trovarsi un lavoro vero, trama in modo neanche troppo segreto per opporsi alla volontà dei tre quarti degli Italiani che invocano a pieni polmoni il ritorno alle urne. Pare che tra loro si chiamino “fronte per il Governo di garanzia democratica” – perché giustamente è inciucio solo se riguarda gli altri, altrimenti è roba da responsabili.
Per dire, secondo Matteo Renzi «votare subito sarebbe folle. Prima ci vuole un Governo istituzionale che permetta agli Italiani di votare il referendum sulla riduzione dei parlamentari e che eviti l’aumento dell’Iva». E che – ha scordato di precisare – allontani la decimazione parlamentare delle sue truppe cammellate per almeno un anno, il tempo necessario all’organizzazione e allo svolgimento del referendum in questione.
Problemi simili li ha anche Beppe Grillo che, stando alle indiscrezioni, starebbe ricevendo parecchie pressioni da parte dei numerosi parlamentari pentastellati che, in base alla regola dei due mandati, non potrebbero più ricandidarsi. Il Garante sembrerebbe anche disposto ad ascoltare i loro piagnistei, ma pare che Casaleggino sia stanco di veder traditi i dogmi paterni. Giustamente, si può passare sopra al Tap, alla Tav e ad altre leggine insignificanti, ma guai a scalfire l’aurea norma che simboleggia l’identità e la diversità del MoVimento, come specificato da fonti interne.
Poi ci sono anche quelli che giocano partite su più tavoli, come Roberto Fico che si dice voglia fare le scarpe al Premier Giuseppe Conte. E infine ci sono i peones terrorizzati dall’idea di non essere nemmeno ricandidati alle parlamentarie, i quali puntano a dilatare la legislatura almeno finché non matureranno i requisiti per potersi intascare il vitalizio.
Insomma, parafrasando Dante più che l’onor poté la poltrona. Settimane, mesi, anni di insulti tra “pidioti” e “grullini” spazzati nel dimenticatoio in nome del “tengo famiglia”, pardon della difesa del Paese e della democrazia.
«Mi eleverò per salvare l’Italia dai nuovi barbari» disse lo pseudo-comico genovese in una scialba parodia dei patrizi dell’Antica Roma (agli amici del M5S: non è che duemila anni fa si chiamassero tutti Patrizio, è un nome collettivo che indicava l’élite capitolina). Subito è arrivata la replica piccata di Giorgia Meloni: «Per Beppe Grillo non serve dare la parola agli Italiani con il voto. È subito corso a salvare la poltrona ai suoi compagni» ha ironizzato via Facebook la presidente di FdI. «Che finaccia Beppe. Dai vaffa nei confronti della casta alla peggiore partitocrazia ribaltonista».
Neppure Matteo Salvini è rimasto in silenzio. «Sento Grillo e Renzi e inorridisco al pensiero di un Governo tra loro. Siamo seri, l’Italia ha bisogno di certezze, fermezza, chiarezza e tanti sì» ha dichiarato il vicepremier, aggiungendo che chi governa in Italia lo decidono gli Italiani. A sorpresa (ma non troppo), ai sovranisti ha offerto una sponda, sia pure per motivi opposti, il segretario dem Nicola Zingaretti, secondo cui «un accordicchio Pd-M5S» finirebbe per moltiplicare ancora di più i consensi per la Lega e il suo leader – e il fatto che ci sia arrivato perfino lui la dice lunga sulla perspicacia dei competenti.
In ogni caso, la decisione sul da farsi spetta a Sergio Mattarella, il quale sembra intenzionato a usare come bussola l’interesse supremo del Paese. Certo, anche su di lui ci sono voci, come quella secondo cui il Capo dello Stato vorrebbe evitare che, alla scadenza del proprio mandato nel 2022, sia il Carroccio a nominare il suo successore. Ma si tratta, per l’appunto, di voci.
Certamente, il Presidente della Repubblica attende gli sviluppi dell’imminente crisi, e a breve – anche se probabilmente non a brevissimo – dovrebbe avviare le consultazioni. Tutti i principali leader e leaderini hanno già espresso la propria fiducia nell’arbitro delle istituzioni. Ma forse è proprio il Ministro dell’Interno colui che può nutrire le maggiori speranze – non foss’altro su base etimologica. In latino, infatti, il termine gubernator – che in senso lato indica l’amministratore dello Stato -, più propriamente significa “timoniere”. E notoriamente il soprannome di Salvini è “Capitano”. Chi ha orecchi per intendere…
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