E se il capo è donna?
Le donne al potere quanto rassomigliano agli uomini nei loro peggiori aspetti?
Nel film Eva contro Eva di Joseph L. Mankiewicz la giovane esordiente Eva-Anne Baxter usurpava con sottile perfidia e doppiezza di intenti il ruolo di prima donna alla più affermata e matura Margo-Bette Davis, circuendola con l'adulazione, prima, e lasciandola sull'orlo della disperazione, poi.
In una recente inchiesta pubblicata dal Wall Street Journalsi esamina, in un certo senso, il fenomeno opposto. La Dottoressa Peggy Drexler, autrice del pezzo, si domanda in che modo le donne che occupano ruoli e posti di potere si relazionino con le loro dipendenti. L'indagine approda ad una considerazione tutt'altro che rassicurante. Le dipendenti prese in esame pur svolgendo un buon lavoro sarebbero discriminate, tagliate fuori e ostacolate proprio dal loro capo-donna, che stimavano e che avrebbero voluto fosse il loro mentore e non il loro carnefice.
Come esposto nell'articolo, la donna-direttore, sentendosi minacciata dalla sua subordinata, invece di sostenerla ed erudirla in merito al lavoro, le tarpa ogni prospettiva futura, la mette in disparte rispetto agli altri dipendenti, la emargina e, in sostanza, le fa mobbing.
Queste donne sarebbero affette dalla 'sindrome dell'ape-regina'. Tale definizione è stata coniata negli anni Settanta in seguito a uno studio di ricercatori della University of Michigan-Graham Staines, Toby Epstein Jayaratne e Carol Tavris, i quali hanno analizzato l'effetto delle donne nei posti di lavoro. Da questa ricerca affiorò che le donne che avevano avuto successo in ambienti per lo più maschili, successivamente avevano contrastato l'ascesa di altre donne che ambivano a raggiungere medesimi ruoli. Secondo i ricercatori, CIò avveniva perché in una società fondata su una cultura patriarcale, le poche donne che raggiungevano posti di prestigio erano incoraggiate a mantenere il loro stato.
Un altro punto singolare dell'articolo riguarda come queste donne-api regine siano in grado di sfruttare l'intuito femminile e, dunque, di svelare e schernire con astuzia alcuni aspetti della vulnerabilità femminile, che gli uomini non riescono a vedere. Si tratterebbe di donne immature con un senso di 'sicurezza precaria', cresciute, si fa per dire, con qualcosa ancora da dimostrare, soprattutto a loro stesse, nonostante abbiano raggiunto il successo professionale.
Tuttavia, pure alcune donne di potere si sarebbero sentite giudicate dalle loro dipendenti perché non ritenute abbastanza solidali nei loro confronti.
Ma siamo sicuri che le donne nei posti di potere debbano essere più comprensive, più tenere, più disponibili, insomma debbano essere 'donne'? E quanto le donne al potere rassomigliano agli uomini nei loro peggiori aspetti? Sempre da questa indagine, pare che sia molto frequente il 'bullismo femminile' delle api-regine, che attraverso sopraffazione e battute di dubbio gusto maltrattano le dipendenti.
Ritengo che alcune donne si sentano minacciate da altre e questo è accaduto anche nella mia breve esperienza lavorativa. Stavo facendo un colloquio di lavoro come giornalista presso una rete televisiva regionale e mi sono sentita dire: "Noi non cerchiamo un'attrice". Era la dirigente, una donna matura, a sentenziare l'editto senza diritto di replica.
Credo però che non sia un discorso meramente di genere. Siano essi capi uomini o capi donne. Come accade ad ogni individuo dotato di poca autostima, si preferisce essere adulati invece che rispettati e, giammai, criticati.
La giornalista conclude il pezzo con un'immagine molto efficace: "le api-regine circondano le potenziali rivali come un sistema immunitario attacca un corpo estraneo". Ahinoi, tutti tendono a coltivare il proprio orto e una volta tratto ciò che di buono abbiamo raccolto, guai a chi si azzarda ad emularlo o a bramare qualcosa di simile.
La medesima autrice, in un altro articolo, stavolta per il Daily Beast, come nel migliore gioco delle prospettive, cambia il punto di vista ed utilizza quello delle api-regine, delle donne al comando che lamentano da parte delle dipendenti un mancato riconoscimento della loro autorevolezza proprio perché sono donne.
Dalle interviste si ricava che spesso le subalterne sono meno rispettose e deferenti nei confronti di un capo-donna, come se si aspettassero che quest'ultima si comportasse come una specie di amica, confidente, sorella, madre.
Lasorellanza femminile è cosa rara e preziosa e che le dipendenti, in ascesa o meno, abbiano la loro parte di responsabilità è un fatto oggettivo. L'insofferenza è del tutto reciproca.
Secondo la Dottoressa Drexler, in uno studio del 2008 pubblicato sul British Journal of Management si rileva che i dipendenti sono più propensi a rifiutare capi femminili che si comportano in un modo tradizionale di amministrazione, o "come un uomo", ma non si pongono la medesima questione quando il direttore è un uomo. Molte si aspettano di essere amministrate da una donna come se si trattasse di una grande azienda familiare, ma non lo richiedono ad un uomo e, come nel caso Mayer, si sentono tradite se questo non accade.
La dottoressa ci pone un quesito interessante: " le donne di successo hanno l'obbligo di essere amate?"
In barba al Wall Street Journal, la giornalista Amy Langfield interroga oggi quegli stessi ricercatori che coniarono 'la sindrome dell'ape regina'. Gli studiosi si dichiarano basiti davanti alla pubblicazione del pezzo del Wall Street Journal in merito alle api-regine, perché, attualmente, la definizione: 'tirannia dell'ape regina' appare loro obsoleta, superata, persino maschilista. Il fenomeno va contestualizzato negli anni Settanta ed oggi è stato frainteso. Inoltre, i due studiosi hanno sottolineato come, al contrario, non esista una 'sindrome del re', poiché un uomo prepotente o arrabbiato lo è e basta, a prescindere dal genere sessuale. Secondo il loro parere, le api regine esistono ma sono molto rare e per ogni ape regina ci sono migliaia di donne mentori di altre donne. Il dottor Connor afferma che alle donne si chiede di essere mentori più che agli uomini, è un fatto di genere ed è discriminante in quanto tale.
La faccenda mi ha fatto tornare alla mente un episodio divertente e un po' naif. Mi riferisco a quando nel 1988 Gina Lollobrigida affermata attrice di fama mondiale, intervenne alla conferenza stampa per l'edizione televisiva del romanzo di Moravia 'La Romana' di cui era stata protagonista cinematografica negli anni giovanili, e che 'ora la vedeva nel ruolo di madre della giovane e prorompente protagonista Francesca Dellera.
La signora Lollobrigida dichiarò che non aveva avuto bisogno di essere doppiata come invece accade alle attrici senza esperienza. Questa naturalmente era un' allusione alla doppiata Dellera che stette buona qualche minuto e poi affilò la sua vendetta quando un giornalista, animato dalla polemica, le chiese con chi avrebbe voluto lavorare e lei rispose: Sofia Loren, da sempre 'rivale' della Lollobrigida.
Ma allora si stava consumando quella che potremmo definire la saga dell'ape regina e l'ascesa dell'ape operaia? E se Margo-Bette Davis non avesse dato spazio ad Eva-Anne Baxter sarebbe stata ingiusta? avrebbe mantenuto il suo ruolo da protagonista della scena e la giovane non avrebbe tentato di sedurre il suo uomo? E le donne affermate perché si sentono minacciate dalle nuove leve? E le emergenti vogliono davvero soltanto lavorare per ottenere un ruolo importante o desiderano prendersi qualcosa di più?
A mio avviso, esiste una sindrome ape-regina, così come una sindrome Eva contro Eva ed e un' atavica sindrome Biancaneve e la matrigna, che poi in origine è la competizione con la 'prima donna' che si affronta in casa: la madre. Talvolta, si decide di non competere accettando la superiorità del ruolo materno. Ma allora siamo sempre subalterne?
Le donne sanno essere disumane anche nei commenti che spesso riguardano non le competenze ma l'aspetto esteriore delle altre donne, la lunghezza di una gonna, i centimetri di un tacco, l'aderenza di una camicetta o la profondità di una scollatura.
Di frequente, la competizione tra donne maschera un' invidia sottaciuta. Accade perché, nell'assenza di questo o quell'attributo, intellettuale, professionale o semplicemente estetico, scorgiamo la nostra fallibilità, la nostra finitezza, ritroviamo la nostra imperfezione. Ma è necessario ricordarsi che questo è soltanto sinonimo di umanità.
Forse anche per tale motivo, la competizione oltre ad essere un gioco sadico è anche un bel po' masochista.
*Per gentile concessione dell'autrice, già pubblicato sull'Huffington Post Italia.