Elezioni: il nome difficile dei candidati fa rischiare di perdere il voto
Un nome difficile dei candidati rischia di essere un ostacolo in politica dove la semplicità può favorire la memoria di chi va alle urne
Un nome difficile rischia di essere un ostacolo in politica dove la semplicità può favorire la memoria di chi tra pochi giorni si recherà alle urne. E’ il pensiero di Cecilia Frielingsdorf, candidata di Azione a Roma. In un manifesto elettorale che campeggia in queste ore per le strade della capitale, si vede da un lato Carlo Calenda e a fianco lei, presentata solo col nome, Cecilia, senza cognome. La scrittrice Michela Murgia ha accusato Calenda di sessismo, lei, Cecilia, ha poi spiegato di aver scelto di omettere il cognome “per semplificare la possibilità di votarmi … Spero di essere giudicata per le mie idee e non per il mio cognome”.
I candidati col nome difficile
La candidata di Azione è iscritta alle liste elettorali come Cecilia Frielingsdorf detta Cecilia. Questo leggeremo fuori dal seggio elettorale il prossimo 3 ottobre. Ma chissà quante volte avremo notato quel ‘detta’ e ‘detto’ ad anticipare uno pseudonimo, un diminutivo, un soprannome. Quante volte ci siamo chiesti il senso di quella, apparente, complicazione. Ma quale complicazione, il contrario semmai: perché quella parola che segue il ‘detto’ o ‘detta’ è ammessa sulla scheda elettorale, senza necessità di scriver altro. Quindi, scrivendo ‘Cecilia’ non si ha timor di sbagliare quanto invece scrivendo Frielingsdorf!
Eppure, come racconta su Domani in un interessante articolo Davide Maria De Luca, il timore di perdere voti a causa di un errore nella trascrizione del proprio cognome seppur comprensibile dovrebbe trovar conforto in un principio della giurisprudenza elettorale italiana, il cosidetto favor voti. In sostanza, il voto va considerato valido se si desume la volontà effettiva dell’elettore. Quindi, un errore di trascrizione non sarebbe sufficiente per annullare la scheda. Sempre che gli scrutatori abbiano ben presente il principio. Ed evidentemente, molti candidati non la pensano così.
Scrive De Luca che a Roma sono candidate ben 81 “detta” e 95 “detto”. A Milano i “detto” sono 15 e i “detta” 19, mentre a Napoli ci sono complessivamente 119 candidati, uomini e donne, a presentarsi con uno pseudonimo o un diminutivo. Rahel Sereke, candidata a Milano nella lista La sinistra per sala, avrà fatto lo stesso ragionamento di Cecilia Frielingsdorf e ha indicato sulla scheda ‘detta Rachele’.
Poi ci sono casi più bizzarri e la lista Rinascimento, guidata da Vittorio Sgarbi, ne contiene diversi. Come Alessandro Balli che, racconta ancora De Luca, ha scelto come soprannome ‘Michetti’, cioè il cognome del candidato sindaco del centrodestra che peraltro la lista appoggia. O ancora, Franco Deiana ‘detto Sgarbi’, cioè il cognome del capolista. Nulla a confronto con Sergio lacomoni, candidato sindaco del Movimento storico romano, che troverete sulla lista “detto Nerone”. E “ho detto tutto”, avrebbe commentato Totò, alias (a proposito di soprannomi) di Antonio De Curtis!