3 novembre 2020. Elisabetta Federico perde la vita all’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Può la perdita della vita di una adolescente causata, così come documentato dalla Procura di Roma, da una serie incredibile di errori da parte del personale di una cosiddetta “eccellenza” della Sanità romana, rappresentare un’occasione di riscatto sociale e anche politico?
Se il pomeriggio del 3 di ogni mese vi capiterà di passare per Piazza Cavour o di fronte all’ingresso dell’Ospedale Bambino Gesù sul Gianicolo, vi potrete imbattere in un manipolo di persone di tutte le età che tengono alto uno striscione in cui si legge: ”Mai più come per Lisa”. Qual è l’antefatto di questa sorta di versione ridotta e locale della protesta delle donne di Plaza de Mayo”?
Il giorno 3 di novembre del 2020 Elisabetta Federico, Lisa, 17 anni, esalò l’ultimo respiro dopo due ricoveri presso l’Ospedale Bambino Gesù durati complessivamente circa 90 giorni (per chi fosse interessato alla cronaca dei fatti questo è il link).
Le cronache sono piene di storie strazianti come e più di questa, ma mai come in questa occasione i peggiori difetti del nostro martoriato Sistema Sanitario Nazionale si sono alleati per fruttare l’epilogo peggiore verso cui una ragazza speranzosa di guarire da una malattia seria, ma non oncologica, possa andare incontro.
Superficialità, menefreghismo, avidità, cinismo. E in più, come certificato dalla Procura di Roma, imperizia, imprudenza e negligenza. Tutte queste cose insieme hanno portato via il sorriso di Lisa.
“Mai più come per Lisa”. Uno slogan semplice, ideato dalla madre, Margherita, ma che riassume bene lo stato d’animo di tutti noi che abbiamo perso Lisa. La rassegnazione. Ma anche la ferma volontà di evitare che spropositi del genere si possano ripetere. Verso questa direzione, la mamma di Lisa, Margherita Eichberg, Sovrintendente del MIC per la Tuscia meridionale, vuole lanciare un’ associazione dedicata alla assistenza e consulenza (in termini di “second opinion”) rivolta a tutti quei genitori che hanno la sventura di dover ricoverare i propri figli nei reparti di Oncologia Pediatrica.
E questa sarà una prima rivincita per Lisa.
La storia giudiziaria è ora ad una svolta critica. La Procura, in tempi lodevolmente limitati, ha individuato due responsabili, e le richieste di rinvio a giudizio sono ora al vaglio del GIP. Comunque vadano le cose, l’obiettivo principale è la denuncia pubblica dell’intollerabile stato in cui versa il Sistema Sanitario Nazionale nella nostra regione anche all’interno di quelli che vengono considerati “gioielli”. Al contempo, però, le nostre energie sono state e verranno impiegate nel proporre soluzioni operative affinché lo slogan “Mai più come per Lisa” si realizzi. E qualche risultato lo abbiamo già raggiunto.
Lisa ha subito le conseguenze dell’infusione di un trapianto di midollo osseo sbagliato. I medici, anche per la mancanza di un midollo alternativo, hanno ugualmente proceduto all’infusione. Lisa è morta dopo 2 settimane di atroci dolori.
Su nostra iniziativa, dal 3 agosto 2021 è stata introdotta la sostanziale obbligatorietà del donatore di riserva al momento della messa in pratica delle procedure di trapianto di midollo osseo. Già solo in questo primo anno sappiamo per certo che questa direttiva ha salvato vite a bambini, di cui almeno uno anche all’ospedale Bambino Gesù, laddove la povera Lisa entrò senza più uscirne. Tutte le vite già salvate e che si salveranno grazie a questa direttiva rappresentano altrettante rivincite per Lisa.
Gran parte del merito di questo risultato va alla dott.ssa Maria Rita Tamburrini, funzionario del Ministero della Salute, che insieme alle altre istituzioni preposte, in tempo reale incluse, su proposta mia e di mia moglie Margherita, la direttiva salva-vite da noi definita “piano B”.
Arrivammo alla dott.ssa Tamburrini per vie traverse. Prima provammo con quelle dirette. Il capo di gabinetto del Ministro Speranza, dott. Lo Russo si rifiutò anche solo di mandare gli ispettori al Bambino Gesù. L’allora vice-ministro Sileri ci ascoltò senza nemmeno pensare che la soluzione del problema era a poche porte dalla sua. Salvo poi aver ricevuto personalmente, da componenti degli staff di entrambi, telefonate di rivendicazione sul risultato ottenuto e dichiarazioni di vicinanza.
Ora ci avviamo alle elezioni, e tutti noi che direttamente, indirettamente, o anche solo emotivamente siamo stati coinvolti nella storia di Lisa dobbiamo trarre delle conclusioni.
Mai più come per Lisa.
Di seguito la lettera immaginaria che Lisa ha scritto rivolta al suo futuro giudice, in cui racconta la sua vita e le sue due morti. Questa lettera venne letta pubblicamente in maniera magistrale dalla giornalista Giulia Innocenzi in occasione del primo anniversario della morte di Lisa.
Mi chiamo Elisabetta, Lisa. La vita è stata cattiva con me. Mi ha tradito due volte. La prima fu quando piccolissima venni abbandonata. Alcuni signori in divisa e con le auto con i lampeggianti blu mi vennero a prendere, e portarono via me e il mio fratellino Bogdan in un edificio pieno di facce sconosciute e anche ostili.
Il tempo passava come poteva, fino a quando un giorno vennero da non so dove due signori che parlavano una lingua sconosciuta. Volevano diventare mamma e papà miei e di Bogdan. Questi signori ci regalavano giocattoli, passavano i pomeriggi con noi, e andarono via e tornarono almeno per tre volte.
L’ultima volta sparirono per lungo tempo, ma poi una gelida sera di inverno mi dissero che erano tornati per portarci via con loro.
Quella fu la prima volta che conobbi un giudice e un’aula di tribunale, e questa è la seconda. Quel giudice a Kiev disse sì, se vuoi puoi provare a riprenderti la vita. Io ci provai, signor giudice, ma dopo troppo poco tempo eccomi qua, a raccontare a lei come la vita mi sia scappata di nuovo di mano.
Anche questa seconda volta, mi creda, io non ho colpe. Anche nella malattia, ho sempre seguito le parole dei medici e dei miei genitori, anzi, ho fatto amicizia con tante infermiere e anche con qualche medico. Non scorderò mai alla fine del mio primo ricovero/prigionia di 60 giorni, quando mi venne concesso di lasciare l’ospedale, quando offrii al mio medico un lungo e intenso abbraccio che lui accettò, anche se con qualche imbarazzo.
Ho sempre dispensato sorrisi anche a coloro che si presentavano con in mano una siringa, un tampone, o con la millesima flebo. Come mi hanno ripagato? I miei genitori erano pieni di fiducia verso tutti i medici, verso quel centro di “Eccellenza”, contavano i giorni che mancavano al mio ritorno a scuola. E io con loro, sono sempre stata sicura di guarire, anche quella notte che mi portarono via in rianimazione perché il mio cuore non andava più.
Signor giudice, so che lei più di tanto ormai non può fare. Neanche io. Proviamo però almeno a fare in modo che nessun altro debba restare vittima, oltre che della propria sorte, anche dell’indifferenza altrui. Se pensa che io non fossi condannata a morire esattamente un anno fa, faccia in modo che non solo i singoli responsabili debbano risponderne, ma che l’intera organizzazione, dentro e fuori quell’ospedale, ne possa uscire migliore. Se il sacrificio della mia vita non varrà a migliorare anche solo di poco la vita di qualcuno, sarà stato un sacrificio inutile, e io morirò per la terza volta.
Lo so signor giudice, lei mi dirà, ma come posso fare? Non è solo distribuendo condanne che ce la faremo mai a cambiare le cose. E’ dolorosamente vero, signor giudice, ma lei una qualsiasi sentenza potrà motivarla, e le sue parole resteranno scolpite nella pietra. Se solo lei potesse descrivere con il suo dotto linguaggio le inutili settimane che ho passato in ospedale, i silenzi e le omissioni che i miei genitori hanno dovuto sopportare inseguendo il medico di turno per farsi dare qualche notizia.
Le lotte quotidiane al day hospital dove centinaia di piccoli pazienti ogni giorno si ammassavano e sgomitavano per accaparrarsi una sedia per non dover fare le trasfusioni in piedi, e io sola so quante volte ho dovuto trasfondermi piastrine restando in piedi.
E poi le decisioni che hanno portato a quelle 12 ore di continue urla e svenimenti mentre quel midollo estraneo mi entrava nel corpo, i 15 giorni di martirio che ne seguirono, le battutine macabre dispensate dal luminare di turno, la fretta messa ai miei genitori per liberare la mia stanza in reparto appena venni trasferita in rianimazione, le bugie dette dai medici ai miei genitori troppo tardi svelate e spesso usate solo per coprire i propri errori.
Signor giudice, se solo trovasse le parole per descrivere tutto questo, allora sì, la mia morte acquisterebbe un piccolo senso, allora sì, la mia maledetta sorte almeno sarà servita ad alleviare le sofferenze di qualche altra sfortunata persona.
Signor giudice, un giorno, sono sicura, ci incontreremo, le auguro fra duecento anni almeno. E allora mi piacerebbe abbracciarla dopo aver saputo che anche lei, come il mio giudice di Kiev, ha voluto regalare a qualcuno una speranza.
Grazie, signor giudice.
Lisa
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