Dopo gli "ultimi giorni della disco" e del celeberrimo "Club52" si annuncia la fine del "generone romano", immortalato, talvolta, nel sito Dagospia. Paolo Sorrentino e il suo nuovo film La grande bellezza, ideato e scritto con Umberto Contarello, in concorso a Cannes sembra voler fare i conti con un tema, fra il periferico e il negletto, cioè se il “falò della vanità” arda nel mix arrivismo e mondanità, oppure, no.
Metà Tom Wolfe, metà Andrea Sperelli Jep Gambardella, alias Tony Servillo, nel trailer affronta la luce di Roma provenendo da feste e party. Jep conosce a memoria il dress code del circuito della celebrità, a partire da giacche perfette e impeccabile disincanto. Davanti ai fondoschiena di una cubista e al ventre di ruffiani, alle maschere della fisiognomica brutale del cesarismo servito nel sushi e nel fingerfood, nei sandali sadomaso e in detestabili pantaloni colorati.
Tolta la volontà resta la rappresentazione e la consueta chiamata in correo dell'immaginario della cosiddetta seconda repubblica che mostra clamorosamente il fiato corto. Cortissimo nei mezzabocca e nel darsi di gomito dei tanti, troppi invitati al matrimonio di Valeria Marini intenti ad animare l'omnia munda mundis in favore degli smartphone. Così va il mondo… anzi il monitor in cui pavoneggiarsi in gessato sartoriale. Solo un gran borghese poteva dedicare il suo genio cinematografico ai laceri spezzoni di quel poco o niente che resta della borghesia italiana. Ceto digerente e non classe dirigente.
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