Fact Checking: Meno tasse e “cchiu pilu” per tutti / 4

Dietro le promesse reciproche di lealtà c’è la crisi di governo, ormai inevitabile se non accade un miracolo

Sembra che la preoccupazione maggiore per Matteo Salvini e Luigi Di Maio sia quella di nascondere l’ipotesi di una rottura, come conseguenza delle continue tensioni e divergenze che scoppiano in seno al Consiglio dei Ministri e fra i due pro consoli ( caso inceneritori, Tap /Tav, decreto sicurezza, condoni, disputa sul Reddito di Cittadinanza con Giancarlo Giorgetti). Se da un lato la fronda dei grillini insofferenti verso la Lega minaccia il Decreto Sicurezza e si deve ricorrere alla fiducia per non creare problemi, dall’altro Salvini minaccia gli alleati su possibili scenari di rottura. Che non ci saranno, perché in questo momento nessuno dei due se lo può permettere. Continuano a giustificarsi: siamo diversi ma abbiamo un contratto da rispettare.

Su Giornale.it Bartolo Dall’Orto (12 dicembre) scrive: “Secondo il Corriere della Sera, durante il viaggio a Gerusalemme Salvini avrebbe inviato una parola d’ordine ai dirigenti di partito: “State zitti e sorridete”. Un invito, insomma, a non rispondere agli attacchi grillini sulle perquisizioni della Guardia di finanza, che hanno coinvolto la Lega nei giorni scorsi. Un’offensiva arrivata prima dai capogruppo M5S e poi dallo stesso Di Maio, che ha chiesto al collega vicepremier di non “minimizzare” l’accaduto. Qualsiasi uscita di Salvini da un po’ di tempo in qua sembra fatta apposta per tenere in tensione l’alleato, anche la proposta di spostare l’ambasciata italiana da Tel Aviv a Gerusalemme a che pro? La Ministra della Difesa Elisabetta Trenta la vede come una mossa che mette a rischio i nostri militari nelle missioni di pace. Una sparata che suscita polemiche e che si poteva evitare. Da una parte “zitti e sorridete” e dall’altra botte e pugnalate (metaforiche).

Un contratto non basta a tenere unita una maggioranza che non c’è. I due partiti sono troppo incompatibili e l’amministrazione quotidiana dello Stato pone continue occasioni di lite e di scontro. Il fatto è che i grillini sono tendenzialmente anti istituzionali e sospettosi di accordi sottobanco e ruberie, mentre i leghisti hanno una tradizione di maggiori frequentazioni e rapporti con imprese e istituzioni e una più lunga esperienza governativa, che li fa più responsabilmente orientati al fare che al disfare. A ogni screzio o dichiarazione non allineata, si scuote il palazzo, lo spread sale, Confindustria protesta, i sindacati tuonano, ricominciano le preoccupazioni. Salvini snobba le questioni delle percentuali sulle quali Conte e Junker discutono per limare, aggiustare, migliorare la situazione di una manovra che continua a non convincere nessuno, neanche chi ne parla in toni “fintamente” entusiastici. Entrambe gli alleati devono arrivare indenni al voto europeo, sperare in un cambio ai vertici della UE, ma non è detto che una vittoria sovranista o populista, come preferite, sarebbe risolutiva per la manovra italiana, anzi…

Il Redito di Cittadinanza è già morto?

Luigi Di Maio dovrebbe arrivare in fretta a un risultato positivo per il Reddito di Cittadinanza ma anche se riuscisse a farlo approvare, poi metterlo in atto sarebbe un bel rebus. Abbiamo visto che già si sta optando per un mascheramento del Reddito di Inclusione del Governo di Paolo Gentiloni. Recentemente il Sottosegretario Giancarlo Giorgetti, in un convegno, ha dichiarato che “il Reddito di Cittadinanza piace a un‘Italia che non ci piace”. L’avviso è chiaro. “Tuttavia, ha continuato Giorgetti, con quell’Italia ci dobbiamo fare i conti e ci dobbiamo governare.” Come dire, facciamo buon viso a cattivo gioco ma di quella proposta ne faremmo volentieri a meno.  Di Maio ha risposto fischi per fiaschi: “A me l’Italia piace tutta dalla Sicilia alla Val d’Aosta”. Forse ha fatto finta di non capire o forse non ha proprio capito il messaggio. Non è un gradimento geografico quello di cui parlava Giorgetti, sicuramente la Sicilia, con Taormina e Cefalù piace pure a lui, ma certi atteggiamenti, che potremmo definire “assistenziali”, del sud non sono tanto tollerati al nord. Le due Italie, rappresentate dai due partiti al governo, ancora si guardano in cagnesco.

Luigi stai sereno

I sondaggi premiano Salvini, che ha ormai superato i Cinque Stelle, in caduta lenta ma inesorabile. Furbescamente il leghista continua a ripetere che non gli interessano le valutazioni di voto, che lui è leale e “non farà cadere un Governo che fa quello che vogliono gli italiani”. Ricorda molto “Enrico stai sereno” di renziana memoria. Ma il Reddito di Cittadinanza Salvini non lo aveva nei suoi programmi. Per lui è una pratica inutile, non serve a produrre occupati, anzi il contrario. Lo sopporta e non lo attacca come ha fatto Giorgetti ma lo snobba. Sa che non si farà mai, si tira per le lunghe e non si vede come potrebbero fare diversamente, sapendo che l’acqua che passerà sotto i ponti si porterà via tanti sogni e tante proposte infondate.

Fin dal 7 novembre Francesco Verderami sulle pagine del Corriere scriveva: “Doveva essere il governo del cambiamento si sta rivelando niente più che un esecutivo di coalizione. Nel giro di cinque mesi è caduta la foglia di fico del «contratto», è saltato cioè il metodo in base al quale M5S e Lega avrebbero agito nei ministeri e sui dossier di loro competenza, contando sul fatto che l’alleato non avrebbe interferito. Era così all’inizio, ora non più: la «guerra degli emendamenti» iniziata al Senato dai grillini sul dl Sicurezza, si è riprodotta a parti rovesciate alla Camera sul ddl Anticorruzione, dove i leghisti hanno preso di mira alcune norme del provvedimento che — per dirla con Renzi — andavano a toccare interessi sensibili dei Cinque Stelle. Anzi di Casaleggio.”

Forse a marzo non si voterà perché Mattarella non lo permetterebbe ma dopo il voto europeo, 23-26 maggio, qualsiasi starnuto in seno al Governo potrebbe avviare la crisi. Forza Italia e Fratelli d’Italia sono pronti a ripristinare la coalizione che, con guida Lega, potrebbe sfondare il 40% mentre i Cinque Stelle sono sempre più a rischio di subire scissioni e frantumazioni in diverse direzioni, sia verso il centro destra e che a sinistra. Di Maio potrebbe chiudere presto la sua intensa esperienza, tra gaffe e frasi storiche, che resteranno negli annali della Repubblica, nei libri di Bruno Vespa e nei commenti sarcastici su Facebook. Il regolamento interno gli impone di lasciare il campo ad Alessandro Di Battista e a Roberto Fico, pronti, secondo me, a cogliere la opportunità di costruire un’alleanza con quel che sarà il PD (Zingaretti) o dai transfughi di Renzi.

Di Battista, Fico e Maroni non vedono l’ora

Ci domandavamo tutti perché Alessandro Di Battista e Roberto Maroni avessero mollato quando i sondaggi davano in ascesa i loro partiti, in attesa di che cosa si sono messi da parte? Ora lo stiamo cominciando a capire. Sono i primi naturali sostituti dei due vicepremier, in caso di caduta rovinosa. Per Maroni si prospetta un’attesa più lunga ma non si sa mai.

A gennaio Agnese Rapicetta su Democratica non credeva alle motivazioni personali che inducevano Maroni a farsi da parte. Forse si vuole tenere libero per un ruolo in un futuro governo di centro destra, accreditato dal fatto che egli stesso si dichiarò a disposizione se dovesse servire. So come si governa”. Aggiungendo poi: “Ho una sola preoccupazione: che possa assumere un incarico di governo il candidato dei Cinque Stelle Di Maio, perché so cosa vuol dire governare. Di Maio per me è la Raggi al cubo e il rischio è che l’Italia finisca come Spelacchio.” Nella sua analisi la giornalista Agnese Rapicetta faceva anche una considerazione su un eventuale ritorno in campo dell’ex Governatore della Lombardia. “Se la decisione di Maroni è stata presa per ambizioni nazionali, la strada, a meno di accordi blindati, non è detto che sia in discesa. Chi convincerà infatti Salvini? Tra i due, come è noto, i rapporti sono tesi. Roberto non sopporta la svolta populista, lepenista e trumpista del Ministro dell’Interno e si è posto con Berlusconi come argine al protagonismo di Salvini.”

Un argine al populismo e al sovranismo. Questo potrebbe essere il ruolo di Maroni, confortato e sostenuto dall’ex Cavaliere, che nello scacchiere europeo propende per l’ala moderata del centro destra. In caso di sconfitta europea dei sovranisti, sarebbe la carta pronta da giocare in luogo di quella di Salvini o per mitigarne l’immagine.

Tuttavia se Bruxelles dovesse bocciare definitivamente la manovra italiana, cosa molto plausibile, chi ci rimette sarebbe Di Maio. Non è detto che Salvini non possa portare a casa una vittoria elettorale per ora certa almeno in italia e accusare l’ex alleato di incompetenza e di illusorie promesse non realizzabili. Le misure dei grillini verrebbero abbandonate per un programma tutto di destra. La coalizione si vedrebbe tutta spostata sulla Lega a guida Salvini, che attrae tutto il possibile del centro-destra, da Toti a La Russa, da CasaPound a Fitto, dalla Meloni alla Santanché. In una nuova legislatura Salvini entra di filato a Palazzo Chigi come premier. Resta da vedere se avrebbe un peso anche a Bruxelles. Quelli che in Europa oggi lo vedono come il fumo negli occhi, per via dell’asse che va dalla Le Pen a Orban, passando per gli austriaci e le frange dei sovranisti in seno alla CDU, dopo il voto potrebbero non essere più alla guida dell’Unione. Nel caso di sconfitta dei sovranisti in ambito europeo invece, la svolta moderata di Salvini, leader indiscusso del centro destra, si renderebbe necessaria e potrebbe avere bisogno della presenza di Maroni e Berlusconi, proprio in chiave garantista.

La partita che si giocherà per il controllo della Commissione Europea sarà la più interessante. Da questa competizione sono del tutto esclusi la sinistra e i grillini, mentre Salvini ne potrebbe essere l’artefice, se non il vincitore, sempre se tutto fila liscio e se non arrivano attacchi imprevisti, del genere scandali e scivoloni.  In politica l’agguato è sempre dietro l’angolo. Il Governo Conte è comunque a rischio. Potrebbe essere una maniera per togliersi dall’impaccio di far quadrare … appunto i conti! Non può cadere adesso. Ora ci rimetterebbe lo stesso Matteo Salvini, per questo si professa leale alleato dei Cinque Stelle, nonostante abbia poco da condividere con loro. Ma dopo maggio…

Di chi ci dovremmo fidare?

Ma allora se tutti promettono e poi fanno calcoli personali o, al massimo, di partito, a chi dobbiamo credere? Già sento le domande del lettore. Se quelli di prima ci hanno portato al disastro e questi lo compiono del tutto, a chi ci dovremo affidare?

A nessuno. A tutti. A sé stessi.

La democrazia è faticosa. È complicata. È difficile da capire e da far funzionare. Ma è l’unica forma accettabile di governo che abbiamo. Sta a noi elettori capire, analizzare, non credere a quello che ci piace ascoltare, alle soluzioni facili, ai salvatori della Patria. Non esistono. Non esistono duci, soluzioni semplici, vie chiare. Esiste solo la nostra capacità e determinazione a non consentire, ancora una volta, di essere presi in giro.

Diffidare di chi promette “cchiu pilu per tutti”!

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