I farmaci anti-Covid sono attualmente e indubbiamente l’obiettivo primario e l’impegno più gravoso per la ricerca scientifica. Abbiamo già parlato della possibilità di usare gli anticorpi delle persone guarite, introducendoli nei pazienti attraverso il plasma.
Una metodologia nota come sieroterapia, già applicata con successo negli ospedali di Mantova, Pavia e Salerno e in fase di studio negli Stati Uniti. Anche l’attore Tom Hanks e sua moglie, guariti dal coronavirus, hanno donato il proprio plasma nella speranza di aiutare gli scienziati a sviluppare un vaccino.
Non è comunque l’unico approccio a cui gli esperti stanno guardando con attenzione. La novità, però, è che alcuni appaiono, finalmente, molto promettenti.
Pochi giorni fa, l’immunologo italo-americano Anthony Fauci ha rivelato che è stata provata l’efficacia di uno dei medicinali testati contro il Covid-19. Si tratta del remdesivir, un anti-Ebola che nei trials clinici ha mostrato «un significativo effetto positivo nella riduzione dei tempi di guarigione» dal patogeno.
Nella fattispecie, questi tempi si riducono del 31% rispetto ai pazienti del “gruppo di controllo” a cui era stato somministrato un placebo. Questo, almeno è ciò che dicono i risultati preliminari della prima grande ricerca effettuata sul remdesivir, che ha coinvolto oltre mille soggetti sperimentali.
I dati spiegano perfettamente l’entusiasmo del medico della Casa Bianca, solitamente molto misurato. Al punto che i media statunitensi hanno dato forte risalto anche al suo atteggiamento euforico, oltre che alla notizia in sé.
Questi risultati, però, non sono ancora apparsi sulle riviste specializzate, il che ha fatto storcere il naso ad alcuni esperti. Anche perché, nel frattempo, un’altra ricerca ha ottenuto dati contrastanti, secondo cui il remdesivir non migliora il tasso di mortalità, né i tempi di recupero dal Covid-19. Il campione dello studio, però, era troppo ristretto, e gli scienziati hanno bloccato la ricerca a uno stadio troppo precoce. Difetti che rendono i risultati difficili da valutare in assenza di ulteriori ricerche.
Come il remdesivir, anche altri trattamenti si sono rivelati inaspettatamente efficaci contro il virus. D’altronde, la sperimentazione è un modus operandi obbligato, soprattutto considerando che almeno all’inizio non si sapeva nulla sul microrganismo e sul suo meccanismo d’azione.
Già a marzo, per esempio, alcuni ospedali di Napoli avevano testato un anti-artrite che in Cina aveva dato esiti incoraggianti. Si tratta del tocilizumab, grazie al quale alcuni pazienti gravi avevano mostrato sensibili miglioramenti in un giorno appena.
Ma un candidato ancora più improbabile è un anti-acido di nome famotidina. I medici cinesi si erano accorti che gli anziani a cui somministravano questa medicina per i bruciori di stomaco superavano anche l’infezione da SARS-CoV-2.
Lo specialista Kevin Tracey ha quindi iniziato a studiarne le proprietà nei laboratori newyorchesi di Northwell. I risultati dei trials clinici saranno disponibili «in poche settimane», ma questa terapia sperimentale ha già salvato delle vite.
Per esempio, quella della sorella di David Tuveson, direttore del Centro oncologico del Cold Spring Harbor Laboratory: positiva al coronavirus, aveva sviluppato febbre e ipossia. Il mattino dopo aver preso una megadose di famotidina, i sintomi erano scomparsi. Lo stesso straordinario miglioramento lo hanno mostrato tre suoi colleghi con diagnosi accertata di Covid-19.
Tutti questi farmaci vengono naturalmente usati off label, ovvero al di fuori delle indicazioni per cui un medicinale è stato registrato. Un segno dello straordinario ingegno degli esseri umani, che si è fatto valere assai di frequente durante questa pandemia: e contro la quale non c’è virus che tenga.
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