Fase 2 e Messe, questo è il problema. O meglio, il dilemma amletico che, a quanto pare, continua a dividere le pecorelle dai loro pastori. I quali, dopo la dura nota che stigmatizzava i provvedimenti dell’ultimo Dpcm in materia religiosa, sono tornati a genuflettersi di fronte al Governo. Senza capire che la pazienza del popolo cristiano è ormai giunta al limite.
La Presidenza del Consiglio aveva preso atto della contrarietà della Conferenza Episcopale Italiana rispetto al prorogato stop alle Messe nella fase 2. L’interlocuzione istituzionale è naturalmente proseguita, com’è giusto che sia: ma ha portato a un esito assolutamente sconcertante.
Una nota contenente le dichiarazioni del cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, che annunciava la definizione di un protocollo per la ripresa delle celebrazioni liturgiche. Tutto bene, sembrerebbe. Tanto che il comunicato esprimeva la soddisfazione della comunità ecclesiale e il ringraziamento al bi-Premier Giuseppe Conte e perfino al Comitato tecnico-scientifico.
Solo che l’accordo non prevede alcuna data certa, tanto che lo stesso porporato ha parlato genericamente delle «prossime settimane, sulla base dell’evoluzione della curva epidemiologica». Solamente il quotidiano che a lui fa capo ha ipotizzato che «l’Eucaristia con il concorso del popolo possa riprendere» il 24 o il 31 maggio.
Tradotto dal clericalese, significa che non è cambiato nulla rispetto al Decreto che aveva portato al durissimo testo intitolato “Il disaccordo dei Vescovi”. Testo che conteneva tra l’altro l’accusa, ovviamente gravissima, di violazione della libertà di culto.
O meglio, non è cambiato nulla a parte l’atteggiamento dei prelati che, inspiegabilmente, hanno fatto una giravolta che nemmeno la miglior Carla Fracci. Poco mancava che chiedessero anche scusa al fu Avvocato del popolo per il disturbo.
Queste posizioni sono un segno inequivocabile del disorientamento in seno al Vaticano. Che, ça va sans dire, non può che accentuare l’analogo disorientamento dei fedeli, di cui si continua a sottovalutare l’esasperazione. Perché le necessità spirituali non sono da meno di quelle materiali (tipo le sigarette), soprattutto in tempo di pandemia.
Non a caso, in un video divenuto virale, Monsignor Giovanni D’Ercole, Vescovo di Ascoli Piceno, ha attaccato frontalmente l’esecutivo rosso-giallo. La libertà di culto è un diritto fondamentale, ha ammonito: «bisogna che ce lo diate, sennò ce lo prendiamo», e farlo sarebbe «un nostro diritto».
Un’argomentazione che ha poi trovato una sponda (almeno parziale) all’interno della maggioranza demogrillina: una sponda importante, e neppure troppo insospettabile.
«La libertà di movimento, la libertà religiosa e tutte le altre libertà non sono “consentite” da un Governo: la libertà viene prima del Governo. La libertà legittima il Governo, non viceversa». Così il leader di Iv Matteo Renzi aveva attaccato Giuseppi accusandolo di calpestare la Costituzione.
Accuse ribadite in Senato dopo l’informativa urgente dell’inquilino di Palazzo Chigi sulla ripresa delle attività economiche nella fase 2. «Sia più prudente quando parla agli Italiani: lei ha detto 11 volte “noi consentiamo”. Un Presidente del Consiglio non “consente”, perché le libertà costituzionali vengono prima di lei. Lei non le consente, le riconosce».
L’intemerata dell’ex Rottamatore andava ben oltre la mera questione confessionale ma, limitandoci a questo ambito, va precisato che lo Stato non ha alcuna giurisdizione in materia ecclesiastica. Un aspetto garantito dall’art. 1 del Concordato del 1929, e ribadito dall’art. 2 della sua revisione del 1984. I quali assicurano alla Santa Sede, come suo diritto nativo, la piena libertà di esercizio del suo Magistero e del suo Ministero.
Ministero che non si esaurisce con le pur importantissime opere di carità di cui si è (giustamente) vantato il cardinal Bassetti. E che non renderebbero la Chiesa cattolica diversa da una qualsiasi ong. Né si esaurisce con le nuove forme di preghiera (pur lodevoli, in epoca di emergenza coronavirus) a cui ha accennato il comunicato della Cei.
Se infatti è vero che la missione religiosa è anzitutto spirituale, essa si esprime primariamente nella celebrazione della Santa Messa e nell’amministrazione dei Sacramenti. Su cui nessuna autorità può interferire, essendo un reato punibile, in base all’art. 405 del Codice penale, con la reclusione fino a 2 anni.
Fase 2 e Messe, cioè, sono tutto fuorché inconciliabili, da qualsiasi prospettiva le si guardi. E, d’altronde, sarebbe paradossale che, con l’allentamento del lockdown, le restrizioni permanessero solo per ciò che più infiamma i cuori degli Italiani – oltre alla fede, il calcio.
A tal proposito, il Governo Conte-bis ha appena autorizzato la ripresa degli allenamenti individuali anche per gli sport di squadra. Il minimo che possa fare, quindi, è aprire in modo corrispondente anche nei riguardi del culto.
Dopotutto, si dice spesso che il calcio è una religione laica. A maggior ragione, allora, sarebbe lecito attendersi dai nostri governanti un occhio di riguardo verso la religione vera. Con buona pace, se occorresse, dell’ecclesialmente corretto tanto caro a certi Vescovi.
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