Cronaca

Femminicidio Cave, uccise la moglie Carmen e oggi punta allo sconto dell’ergastolo

In corte d’appello a Roma, oggi, Antonio Brigida tenterà di ottenere uno sconto all’ergastolo che la prima corte d’assise di Roma ha stabilito a febbraio.

Brigida, il 7 maggio 2019, nella sua casa a Cave, comune alle porte di Roma, ha scaricato un intero caricatore della sua pistola sul corpo della moglie Carmen Vernica, uccidendola. I due si stavano lasciando e, quella mattina, sarebbero state le ultime ore di convivenza. E lo sono state, ma purtroppo non come lei sperava: non una nuova vita, ma la morte. Omicidio premeditato con l’aggravante della crudeltà è il reato per il quale in primo grado, l’uomo è stato condannato all’ergastolo.

Nel corso del dibattimento, Brigida ha ammesso l’omicidio anche perché, i carabinieri, al loro arrivo in casa, lo hanno trovato ancora con la pistola in mano. “Non ho detto nulla – aveva ricostruito l’uomo dinanzi alla corte d’assise -, ho trovato mia moglie che stava in bagno e le ho sparato”, con l’arma che deteneva regolarmente per uso sportivo. Un fatto efferato che si cala in un contesto familiare complesso e caratterizzato da contrasti.

Femmincidio Cave, la storia di Antonio e Carmen

I due erano sposati da alcuni anni e con loro ha vissuto, fino a fine 2018, Alexandra, figlia che la donna aveva avuto in una precedente relazione. Brigida, nel corso dell’esame dell’imputato, ha ricostruito la loro relazione dal suo punto di vista, raccontando del carattere forte che la donna ha sempre avuto, ma anche di una relazione tra i due positiva fino all’ottobre 2018, quando, a detta dell’imputato, lei è cambiata repentinamente. Aggressioni, liti e insulti di ogni genere anche davanti testimoni, finanche aggressioni fisiche subìte dall’uomo come l’ultima, proprio la mattina dell’omicidio quando – sempre secondo il suo racconto -, prima delle 7, scagliandogli uno scadenzario, la donna lo aveva ferito al volto.

A mezzogiorno ancora una lite, altri insulti e Brigida si è recato prima a casa di una parente per prendere la chiave di una cassaforte, poi nel garage dove deteneva la pistola, si è armato ed tornato in casa per compiere l’omicidio. La linea difensiva del suo avvocato, Loredana Mazzenga, non è stata quella di negare l’omicidio, ma alleggerire il peso della colpa ricostruendo e sottolineando il contesto in cui questo è maturato. Anni di vessazioni e maltrattamenti che hanno provocato, secondo il legale, una “classica reazione da raptus” o per meglio dire, “un omicidio da corto circuito”. Oggi, in corte d’appello, la difesa si gioca tutte le sue carte per ottenere uno sconto di pena consistente.

Redazione

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