“Ho perso l’autobus, resto a Roma da un’amica”. L’ultimo contatto con Desirée dei suoi familiari è una telefonata con la nonna materna il 17 ottobre 2018. Poi più nulla. Il cadavere viene ritrovato due giorni dopo. Abbandonato su un lettino con sopra una coperta. In uno stabile occupato, raduno di pusher e tossici, nel quartiere romano di San Lorenzo. Si pensa a una morte per overdose. Ma sul corpo sono presenti tracce di stupefacenti e segni di uno o più rapporti sessuali.
Finalmente ieri, sabato 19 giugno, dopo una lunga battaglia portata avanti dalla famiglia e dai PM, il Tribunale ha pronunciato la sentenza di primo grado che ha disposto due ergastoli e due pesanti condanne per i responsabili dell’omicidio della 16enne di Cisterna di Latina.
In serata, dopo aver ascoltato le repliche delle parti e dopo oltre nove ore di camera di consiglio, i giudici della III Corte d’Assise hanno emesso il loro verdetto: ergastolo per Mamadou Gara e Yussef Salia, 27 anni di reclusione ad Alinno China e 24 anni e sei mesi a Brian Minthe. Nei confronti dei quattro cittadini africani le accuse vanno, a seconda delle posizioni, dall’omicidio volontario alla violenza sessuale aggravata, alla cessione di stupefacenti a minori.
Dalle carte è emerso che gli imputati avessero assicurato alla ragazza, in crisi di astinenza, che il mix di sostanze, composto di tranquillanti e pasticche, non fosse altro che metadone. Ma la miscela, rivelatasi mortale, era composta da psicotropi che hanno determinato la perdita “della sua capacità di reazione”, consentendo agli indagati di poter mettere in atto lo stupro in uno stabile fatiscente nel cuore dello storico quartiere romano.
I PM Maria Monteleone e Stefano Pizza avevano sollecitato il carcere a vita con l’isolamento diurno per tutti, chiedendo l’assoluzione per Gara solo dalle accuse di cessione di stupefacenti e induzione alla prostituzione. Ma la lentezza della macchina giudiziaria ha inevitabilmente determinato danni irreparabili: Brian Minteh torna in libertà per la scadenza dei termini di custodia cautelare.
“Mi attendevo quattro ergastoli, non sono soddisfatta di questa sentenza soprattutto perché uno degli imputati torna libero e questo non doveva succedere. Non ho avuto giustizia”, dice Barbara Mariottini, madre di Desirée dopo la sentenza. Ancora più arrabbiata una donna la cui voce si alza dal pubblico: “Maledetti possiate bruciare all’inferno”, ha urlato.
Nell’ordinanza del gip si affermava che il gruppo avesse agito “con pervicacia, crudeltà e disinvoltura”, mostrando una “elevatissima pericolosità e senza alcuna remora”.
“Meglio che muore lei, che noi in galera”: è la frase choc che secondo alcuni testi avrebbero pronunciato tre dei quattro accusati. Gli indagati infatti impedirono di chiamare i soccorsi, finché, dopo quattro ore in cui i presenti osservavano inerti il corpo agonizzante della ragazza, il suo cuore non ha ceduto per overdose. Gli esami disposti dalla Procura hanno confermato che sotto le unghie e sugli abiti di Desirée era presente il Dna del branco.
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