Festa dell’Ascensione di Gesù
L’invio degli apostoli alle genti
La scena finale del vangelo di Matteo (28, 16-20) è, nello stesso tempo, meno e più che un racconto pasquale. Il nostro brano, che sarà proclamato domenica dell’Ascensione di Gesù al cielo, non rassomiglia ai racconti dettagliati delle apparizioni pasquali presenti negli altri evangelisti: esso è molto conciso, la scena viene soltanto abbozzata. Infatti, la portata delle parole del Risorto (“Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole…insegnando…” (vv. 18-20) supera di molto quello che contengono gli altri racconti degli eventi pasquali. I discepoli sono andati in Galilea, secondo l’ordine dato dall’angelo e da Gesù alle donne: ciò dimostra lo stretto rapporto del nostro testo con la storia del sepolcro vuoto e delle apparizioni del Risorto. Con la Galilea si vuole anche garantire l’identità del Risorto col Gesù terreno. Le parole di questo brano ci introducono nel tempo della Chiesa: il Risorto, che possiede piena autorità sul mondo intero, invia i suoi discepoli con precise istruzioni e promette loro la sua assistenza sino alla fine dei tempi.
I discepoli sono “undici”, poiché manca Giuda: evidentemente l’evangelista Matteo non conosce la tradizione riferita da Luca sull’elezione dell’apostolo Mattia in sostituzione di Giuda Iscariota. Il “monte” sul quale Gesù ha dato l’appuntamento ai discepoli non è un luogo geografico, ma il luogo tipico della rivelazione (monte Sinai, il discorso sul monte). La “vista di Gesù” da parte dei discepoli è ricordata solo di sfuggita a differenza degli altri racconti delle apparizioni. Il fatto più importante è che i discepoli si prostrarono al vedere Gesù: si prostra soltanto chi ha riconosciuto la dignità di Gesù e che la riconosce per mezzo dell’atto di prostrazione (cfr. i Magi a Betlemme). E’ sorprendente vedere spuntare il dubbio in questo testo: “alcuni discepoli però dubitavano” (v. 17). Il dubbio si presenta diverse volte in altri racconti di apparizioni, e ogni volta viene superato in modo diverso: Gesù si fa dare da mangiare, riappare di nuovo. Ma qui non si trova niente di tutto questo. Non sarebbe quindi il dubbio di alcuni discepoli sull’evento passato, ma il dubbio della comunità ed esso viene vinto dalla parola del Risorto: Gesù si rivela nella sua parola come colui che è costituito in autorità e parla con autorità. A questo titolo Gesù è presente nel mondo per tutta la sua durata, e nella chiesa fino alla fine dei tempi.
La parola di rivelazione: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (v. 18). Si tratta del potere conferito da Dio a Gesù in virtù della sua risurrezione, poiché è stato costituito Signore dell’universo e giudice della storia. Questo potere sovrano è illimitato quanto a pienezza e a intensità. Con questo titolo Gesù può conferire una missione universale e legare a sé tutti gli uomini, chiamandoli a diventare suoi discepoli. Egli, che è il solo e vero maestro, può essere continuamente presente come Signore del mondo, e dunque anche della storia.
L’istruzione del Signore: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole…insegnando…” (vv. 19-20). L’istruzione del Signore contiene un’affermazione principale e preminente: il comando di ammaestrare tutte le genti. Il verbo “rendere discepolo” è più del semplice “proclamare”: esso mira al raggiungimento di una relazione stretta e personale. Il modello di tale rapporto è quello del Gesù storico con i discepoli chiamati da lui: essi sono stati invitati a seguire lui, che li ha presi alla sua scuola e ha voluto unirli a sé con un legame personale.
Simile modello costituisce la norma per ogni cristiano: “discepolo” è in qualche modo la definizione più semplice di cristiano. Il contenuto della condizione del cristiano viene precisato dai due verbi seguenti: battezzando e insegnando. Il battesimo e l’insegnamento costituiscono il modo di essere del cristiano, ossia del discepolo. Perciò i due verbi sono subordinati all’invito di ammaestrare tutte le genti, specificandolo concretamente. L’incarico di fare discepoli, la cui realizzazione comincia con il conferimento del battesimo, viene espletato compiutamente soltanto con la comunicazione dell’insegnamento di Gesù, e in tal modo si rivela un incarico permanente. Anche qui si pensa in prospettiva alla creazione di comunità, al loro consolidamento e alla organizzazione della loro esistenza, che avviene facendo sì che i battezzati acquisiscano sempre maggiore familiarità con l’insegnamento, non soltanto sul piano della conoscenza, ma anche nella pratica.
Tale insegnamento deve tuttavia essere considerato come un’istruzione preparatoria al battesimo, una catechesi prebattesimale. Non v’è alcuna ragione di principio per supporre che nella chiesa ormai sviluppata di Matteo il battesimo venisse amministrato senza una simile istruzione. La formula trinitaria: “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”, attesta in primo luogo che, al tempo della composizione di questo Vangelo e nelle comunità cristiane in cui esso fu composto, il battesimo era amministrato in questo modo.
Il secondo comando dato nell’istruzione è quello di “insegnare”: gli apostoli devono insegnare come ha insegnato anche Gesù; soprattutto il Vangelo di Matteo ci presenta Gesù come maestro. Il discepolo battezzato deve essere reso sicuro, per mezzo dell’istruzione, nella nuova vita e iniziato all’adempimento pratico della volontà di Dio e all’imitazione di Gesù. Nel vangelo di Matteo, l’insegnamento è orientato a ciò che si deve fare, alla volontà di Dio così come l’ha annunciata il Gesù terreno soprattutto nel discorso sul monte.
Gli apostoli devono insegnare “a osservare tutte le cose che vi ho comandato” (v. 20). I due verbi (osservare e comandare) sottolineano la volontà sovrana di Dio nei riguardi dei suoi discepoli, e l’autorità di Gesù che impone comandamenti e leggi in virtù della sua dignità di Signore. Tutto il Vangelo è in sé dottrina di vita per i discepoli. Questa dottrina deve essere insegnata nella sua interezza e senza distinzione, e anche senza attenuazione del suo carattere assoluto: questo vuol dire “fare discepoli” tutte le nazioni della terra. La realizzazione di questo comando deve essere universale. Ciò significa che da tutte le genti debbono sorgere discepoli di Gesù. I discepoli devono essere inviati a tutti i popoli. Se così non fosse, Gesù Cristo non sarebbe veramente il Signore della storia.
“Io sarò con voi tutti i giorni” (v. 20): non solo Gesù sarà vicino agli apostoli raccolti sulla montagna di Galilea, ma il suo sguardo abbraccia ogni discepolo di ogni luogo e di ogni tempo. In ogni tempo e in tutte le situazioni Gesù è accanto al discepolo per aiutarlo e consolarlo, per esortarlo e chiamarlo e per accompagnare sempre l’azione dei suoi messaggeri.
Bibliografia consultata: Trilling, 1970; Gnilka, 1991.