Spesso il cinema racconta la realtà, ma cosa succede quando il cinema precede la realtà e la racconta prima ancora che questa accada? Succede nella fantascienza direte voi, come ad esempio in “Minority Report” o in “Metropolis”.
Ma lì non era solo fantascienza; Lang aveva previsto dove voleva arrivare Hitler, creando una stirpe di schiavi subumani al servizio degli eletti. Però talvolta il cinema prevede la politica, cosa difficilissima perché questa è legata a fattori sociali, economici e talvolta anche religiosi. Eppure è successo in alcuni film che i giovani oggi non conoscono e che dovrebbero essere recuperati e riproposti per la preveggenza di fatti che hanno sconvolto il nostro Paese e non solo. Volete un esempio? Lo straordinario “Quinto potere” di Sidney Lumet con la sceneggiatura del premio Oscar Paddy Chayefsky, ha ampiamente anticipato e previsto la discesa in campo di Beppe Grillo.
Giudicate voi. Un “anchorman” televisivo, Peter Finch, Oscar strameritato, in preda a un crollo nervoso, una sera invece di leggere le notizie del telegiornale si presenta davanti alle telecamere visibilmente sconvolto, urlando che la situazione è insostenibile e la gente si sta chiudendo sempre di più nel proprio privato per cercare di resistere a tutto ciò che succede. Ma qui il colpo di scena; puntando il dito verso lo schermo Finch proclama “Io non vi lascerò in pace, andate alla finestra e urlate” sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più”.
E la gente apre le finestre e strilla. Sconcerto nella rete, dalla regia stanno per interrompere la trasmissione ma l’astuta dirigente Faye Dunaway si oppone; qui c’è aria di scoop ed è possibile che la nostra stazione TV, sull’orlo del tracollo, possa ricominciare a fare profitti. E vede giusto. Il predicatore spopola, auditel alle stelle, solo l’amico di sempre William Holden capisce che l’uomo ha problemi nervosi e cerca di difenderlo da quell’improvviso successo. Niente da fare. La legge del mercato sarà più forte. E se quel: “sono incazzato nero” non è un “vaffaday” ante litteram ditemi voi cos’è. Certo, non c’era la rete, non c’era Facebook, ma per il resto ci siamo.
Il film comunque punta più sulla dimensione “privata” dei protagonisti; Finch, il predicatore, è un uomo mentalmente disturbato, il suo messaggio viene accolto con entusiasmo, ma alla fine non ha uno sfogo politico, non viene fondato un partito e il suo seguito è solamente televisivo. La reazione del pubblico è comunque entusiastica e i suoi ascolti vanno alle stelle. Insomma tutto viene ricondotto ad una televisione padrona che infiamma e coinvolge, ma manca (e non potrebbe essere diversamente) uno sfogo politico alla protesta in un paese come gli USA, dominato da un bipartitismo solido, senza spazio per un movimentismo a base televisiva.
Il film lavora invece sul rapporto di amicizia tra Finch e Holden, il quale non solo si gioca il posto per cercare di impedire lo sfruttamento mediatico della malattia del suo vecchio amico, ma lascia la moglie per la giovane e carrierista Dunaway.
Per le signore che leggono possono comunque consolarvi dicendo che la moglie di Holden nel film , la bravissima Straight, vinse l’Oscar per quella interpretazione che rimane un record, perché si tratta della più breve scena mai premiata con un l’Academy Award, poco più di cinque minuti. E se guardate il film capirete perché.
Parlando di predicatori e affabulatori del popolo andando ancora indietro nel tempo troviamo “Un volto nella folla” del grande Elia Kazan, che narra la scalata al successo di un ex galeotto dalla parlantina sciolta e dal sorriso panoramico, che conquista un grandissimo successo alla radio e poi alla televisione, sfoggiando un populismo facilone e massime qualunquiste. Quando tenterà la scalata alla politica un fuori onda, provocato dalla sua amante troppo spesso tradita, ne rivelerà la vera natura.
Se la faccia del protagonista vi sembra famigliare siete sulla strada giusta perché si tratta di Andy Griffith, l’interprete di Matlock un noto serial degli anni 80, ma credo che quel film sia stato il punto più alto della sua carriera. Tornando a casa nostra Tangentopoli fu anticipata non tanto dal “Tutti dentro” di Sordi , ma dal bellissimo e misconosciuto “In nome del popolo italiano” di un grande Risi con il duo “Gassmann – Tognazzi”, una commedia che ha previsto e non di poco la famosa valanga che travolse la politica italiana.
La morte di una giovane e bella escort (ma allora non si chiamavano così) scatena la curiosità del giudice Tognazzi, onesto, severo e dalla vita privata infelice; nel mirino entra un Gassman/Santenocito, imprenditore maneggione, corrotto e senza scrupoli, che vive nel lusso e usa belle ragazze per concludere affari con magnati stranieri. E sono sicuro che vi ricorda qualcuno.
Il Gassman non si ferma davanti a nulla , fa anche internare il vecchio padre che si rifiuta di testimoniare il falso per coprire le sue malefatte. Ma quel che è peggio è che, trovate le prove della sua innocenza, il giudice Tognazzi le distruggerà in preda a un odio ideologico per quello che l’imprenditore rappresenta; la volgarità, il malaffare, la cialtroneria, la corruzione. Quanto meno inquietante e non c’è bisogna che vi faccia riferimenti al recente passato.
E sempre in tema di giustizia politica, ma con un orientamento opposto, uno dei più bei film di Alberto Sordi e se mi permettete uno dei più bei gialli italiani che può rivaleggiare con “Un maledetto imbroglio” di Germi, ovvero “Il commissario”. Sordi, ambizioso funzionario di polizia che cerca uno “scatto di grado”, non ci vede chiaro nella morte di un maturo politico impegnato in un congresso a Roma. All’inizio sembra un incidente stradale, ma il Sordi/commissario Lombardozzi indaga a fondo e si convince che si sia trattato di un omicidio maturato durante un incontro clandestino con una prostituta in un motel fuori Roma.
Ma è una verità che non può essere rivelata per non compromettere il buon nome dell’illustre defunto. E sempre Sordi è stato interprete magistrale di un altro film che ha portato alla luce il problema non solo della giustizia, ma anche carcerario con “Detenuto in attesa di giudizio”, un film incredibilmente coraggioso di uno dei registi più importanti e misconosciuti del nostro cinema ovvero “Nanny Loy”. In vacanza in Italia con i figli, a causa di una omonimia, un italiano emigrato in Svezia si vede travolto in un vortice di arresti, detenzioni e trasferimenti da un carcere all’altro rischiando anche la violenza sessuale, senza sapere il perché e senza un’accusa precisa che gli consenta di difendersi.
Nonostante l’ironia di alcune situazioni e la presenza di Sordi il film rappresenta un atto d’accusa durissimo verso il nostro sistema giudiziario e infatti non lo trasmettono molto di frequente. Una vera e proprio discesa agli inferi del protagonista, in cui ogni parola ed ogni gesto può contribuire ad aggravare una situazione nata in modo paradossale e dove, senza sapere di cosa si è accusati, si viene trattati come criminali. Sono sicuro che aprendo i giornali una storia del genere l’avrete già sentita, ed il film è degli anni 70. Ma venendo più vicini ai nostri giorni vi segnalo una pellicola ancora più inquietante che spero non preannunci la realtà, ovvero “Live” ascolti al primo colpo.
Qui un’affascinante Eva Mendez, in pratica una “nipotina” della Dunaway di Quinto potere, propone ad un network in crisi d’ascolto un nuovo show; “la roulette russa”. Dopo le iniziali perplessità (e non vedo come altro si potrebbe) degli alti dirigenti, si procede allo studio di fattibilità e vengono scelti i candidati tra la numerosa folla di aspiranti a rischio suicidio. La posta è grossa, i soldi sono molti e ovviamente c’è di tutto; dalla modella in cerca di visibilità, al disperato oppresso dai debiti, un’umanità che non si pensava neanche potesse esistere, pronta a sfidarsi in un gioco potenzialmente mortale portandosi la pistola alla testa.
Assolutamente agghiacciante il party che precede la prima messa in onda della prima puntata, dove si brinda in una discoteca tra persone che il giorno dopo potrebbero essere morte; sorrisi , spacchi vertiginosi, modelle e champagne, “morituri te salutant”, dopo duemila anni sembra non sia cambiato nulla, solo che il Colosseo è diventato on line. Ma, come era prevedibile, non tutto andrà per il verso giusto e la lezione sarà molto amara; un conto è parlare di morte e un conto è vederla in diretta.
E qui, signori miei mi fermo, ma sento, anche al solo parlarvene, che ad una trasmissione come questa siamo molto vicini, anzi credo che sia solo questione di tempo. Una delle parti più affascinanti del film, a parte la Mendez purtroppo sempre vestitissima, riguarda proprio lo studio dal punto di vista legale di una trasmissione che possa prevedere la morte in diretta e le motivazioni per poterla mandare in onda. Pensarlo mi da i brividi. Come la Mendez.
Alberto Garavello
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