Le comunicazioni del bi-Premier Giuseppe Conte sui fondi europei sono state all’insegna della spavalderia. A conferma che il Governo rosso-giallo eccelle in capacità comunicative. Peccato che alle parole seguano raramente i fatti. Soprattutto se, come nel caso specifico, c’è di mezzo Bruxelles.
«Riteniamo cruciale che la decisione del Consiglio Ue sia assunta entro luglio e non sia svilita da un compromesso a ribasso». Così l’ex Avvocato del popolo ha ribadito in Parlamento la linea che si propone di tenere al cruciale Consiglio Europeo del 17 e 18 luglio prossimi. Un «appuntamento con la storia», come lo ha pomposamente e ripetutamente definito nei giorni addietro.
Il vertice dovrebbe infatti portare a un accordo sull’ormai mitologico Recovery Fund, il piano della Commissione europea per fronteggiare a livello economico l’emergenza coronavirus. La cui entità dovrebbe essere pari a 750 miliardi di euro, di cui 500 a fondo perduto e 250 come prestiti.
I condizionali sono d’obbligo, perché di fatto l’intesa è ben lontana. Che è il motivo per cui Giuseppi ha voluto spronare i cosiddetti alleati comunitari. «Quando sono in pericolo le fondamenta dell’Ue, nessuno Stato può avvantaggiarsi a scapito di altri. In questo grave tornante della storia Ue o vinciamo tutti o perdiamo tutti».
Ha ragione, naturalmente. E non a caso ha criticato eventuali «risposte nazionalistiche», che «sarebbero anacronistiche» e porterebbero a «un piccolo mondo antico, tutt’altro che sicuro». Qualcosa però ci dice che non basterà citare Antonio Fogazzaro per persuadere i riottosi partner europei. Soprattutto quelli che sembrano avere un concetto di solidarietà tutto loro.
I riflettori (almeno quelli del Presidente del Consiglio) erano puntati sui sovranisti dell’Unione Europea. A cominciare dall’Ungheria di Viktor Orbán e dalla Polonia di Andrzej Duda. Due nazioni che si oppongono recisamente alla regola che condiziona l’erogazione dei fondi al rispetto dello stato di diritto, considerata un’ingerenza comunitaria negli affari interni.
Il centro della scena, però, lo occupano (as usual) i nazionalisti ignari di esserlo. Vale a dire i cosiddetti Quattro Frugali – Austria, Danimarca, Olanda e Svezia, a cui dà manforte la Finlandia.
Il Primo Ministro de l’Aja Mark Rutte, per esempio, ha affermato che sui sussidi dovrebbero essere poste «condizioni molto rigide». Come una serie di garanzie sugli investimenti e le riforme che dovranno essere attuate dai Paesi che beneficeranno delle sovvenzioni. Che, en passant, è la strada tracciata dalla recente proposta del Presidente del Consiglio Ue, il belga Charles Michel.
I negoziati, insomma, partono già in salita, e bisognerà capire se ci sarà la volontà di accordarsi – ed eventualmente come. Del resto, non sarebbe la prima volta che un Capo del Governo italiano si presenta all’estero con intenti bellicosi, salvo cedere per ragioni di realpolitik.
Tempo pochi giorni, e sapremo chi l’avrà vinta, se l’Europa del mai o un Signor Frattanto improvvisamente avido di pragmatismo. Ci auguriamo che la notte porti Consiglio. Europeo, ça va sans dire.
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