Nella serata di ieri in Pontecorvo i Carabinieri della locale Stazione, a seguito di un controllo amministrativo eseguito presso un’armeria sita nella giurisdizione della Compagnia Carabinieri di Pontecorvo, procedevano all’arresto in flagranza di reato di un 32enne, non censito e titolare della predetta attività, ritenuto responsabile di “detenzione illegale di armi comuni da sparo, omessa denuncia e registrazione di armi comuni da sparo e omessa custodia di armi”. Nel contesto di una mirata attività finalizzata al contrasto delle dinamiche delittuose riferibili alla detenzione e al commercio delle armi comuni da sparo, i militari della Stazione Carabinieri di Pontecorvo procedevano al controllo amministrativo della suddetta armeria-
Le verifiche effettuate consentivano di rilevare che il prevenuto, sebbene titolare di apposita autorizzazione rilasciata dalla Questura di Frosinone per la detenzione di armi lunghe, finalizzata al conseguente commercio delle stesse, di fatto all’interno della propria armeria, oltre al limite consentito dal titolo di polizia, deteneva 79 fucili da caccia di varie marche e calibri. Per tale motivo ometteva l’aggiornamento dei prescritti registri di polizia, la denuncia alla locale Stazione Carabinieri delle armi in carico e l’adeguata custodia delle stesse all’interno dei locali ispezionati.
I militari operanti procedevano, pertanto, al sequestro dell’armeria, delle armi ivi custodite e dei registri di polizia relativi alla detenzione e movimentazione delle stesse. Espletate le formalità di rito l’arrestato veniva sottoposto al regime degli arresti domiciliari, ottemperando alla disposizioni impartite dalla competente Autorità Giudiziaria.
Nella mattinata odierna, invece, sempre a Pontecorvo i Carabinieri della locale Stazione, a conclusione di attività info-investigativa, deferivano alla competente A.G. un 40enne, già censito per reati contro il patrimonio, ritenuto responsabile di truffa, possesso e fabbricazione di documenti falsi nonché falsità ideologica. I militari operanti accertavano che il l’indagato, dopo aver contraffatto una carta d’identità apponendovi la sua effige e i dati anagrafici di un proprio familiare, otteneva l’apertura di una partita iva che avrebbe utilizzato per finalità illecite.
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