Fukushima tre anni dopo: le riflessioni di Mario Tozzi
“Bisogna capire che la prevenzione è l’unico mezzo che funziona davvero e che sul nucleare ci vuole tolleranza zero”
L'APOCALISSE REALE – Hanno resistito alla fine del mondo. Al vero big-one, il “terremoto cattivo”, il più potente di tutti. Quello che ci si aspettava dal 1923 o da prima ancora, quando solo pochi edifici rimasero integri e tutti furono storditi di paura. Quello cui si resiste solo se c’è cultura e consapevolezza, se si è stati educati e si è costruito per bene. Sono uomini come noi, i giapponesi, solo che sono riusciti a rimanere calmi sopra la terra che tremava, di fronte a uno dei sei o sette più violenti terremoti di sempre. Sono uomini come noi, solo sono usciti ordinatamente dai grattacieli, che avevano appena smesso di oscillare come pioppi al vento, e si sono recati nei punti di raccolta. Non hanno mai recriminato contro la “natura assassina” o il “terremoto killer”. Tokai o chokkagata li chiamano in Giappone gli eventi catastrofici che verranno, perché lì è chiaro per tutti che quello è il futuro inevitabile, perché i sismi, come pure le eruzioni, sono parametri che fanno parte della pianificazione della vita nazionale e personale quotidiana.
Un terremoto come questo di Sendai avrebbe causato decine di migliaia di morti in Italia e centinaia di migliaia in Iran. E certo un terremoto come quello aquilano (centinaia di volte meno distruttivo) in Giappone non avrebbe fatto crollare nemmeno un cornicione. Nel prossimo futuro gli eventi naturali a carattere catastrofico assumeranno una connotazione di classe che già oggi è più di una tendenza: i paesi (ricchi) che si attrezzano possono evitare il collasso, quelli (poveri) che non riescono a farlo crollano (come dimostra Haiti). E all’interno di quei paesi, gli sventurati che si accalcano nelle favelas suburbane occupano siti già scartati perché pericolosi e rischiano più di chi si è procurato un insediamento sicuro.
Ma questo terremoto è qualcosa di più, è la dimostrazione lampante di come la prevenzione sia l’unico mezzo scientifico serio che funziona davvero, e che fa addirittura risparmiare in emergenza. Invece di inseguire la chimera di una previsione finora impossibile, sarebbe bene prendere ad esempio il popolo che fa la migliore prevenzione del mondo affidandosi alla ricerca e, in ultima analisi, alla cultura del rischio costruita nei secoli. E le esercitazioni antisimiche, che da noi indurrebbero agli scongiuri di rito, lì consentono di salvare vite, perché niente è meno scontato del panico quando la terra ti trema sotto i piedi: affidarsi a una rappresentazione già ripetuta cento volte salva più vite che non recitare un rosario a memoria.
Per un cittadino di Tokyo ci sono 40 probabilità su 100 che, nei prossimi dieci anni, un altro terremoto colpisca la sua terra con magnitudo 7 Richter. Il blocco crostale che comprende le isole nipponiche si trova proprio al contatto fra la grande placca dell’oceano Pacifico e quella dell’Asia: da quello scontro si generano eruzioni vulcaniche e terremoti. E’ così da molto prima che gli uomini arrivassero sulla Terra e sarà così per molto a lungo ancora. E là tutti lo sanno, non attribuiscono colpe a un destino cinico e baro o al fato.
Ed è una fortuna che i giapponesi siano così disposti ad ascoltare la scienza e non le superstizioni, perché altrimenti lo scenario economico mondiale avrebbe potuto avere ripercussioni spaventose. Il potere industriale e commerciale di cui dispongono innerva ormai la ricchezza economica di tutto il mondo: se dovessero ritirare i propri capitali per intervenire in patria a sanare gli effetti di un terremoto devastante, la loro mancanza si risentirebbe in ogni angolo del pianeta. Il Giappone è disseminato di faglie attive, in grado di scatenare ancora terremoti, e tutti i sismologi della Terra si aspettano altri sismi distruttivi dell’ordine di 6,5 – 8,5 Richter nel prossimo futuro. Anche dopo il terremoto di ieri.
Altra cosa è il maremoto, che viaggia veloce come un jet di linea a 800 km/h e, in mare aperto, nessuno lo avverte. Quando però arriva vicino alla costa “sente” il pendìo che risale e monta in ondate alte come palazzine, sradica ogni cosa, carica ogni tipo di oggetto e poi si abbatte a mitraglia (la ricostruzione fatta da Clint Eastwood nel suo Hereafter è perfetta). Non ci si difende da uno tsunami se non allontanandosi dalla costa e salendo più in alto possibile. Se anche si è costruito per resistere ai terremoti, questo non salverà chi sta per strada: le vite degli uomini si svolgono perlopiù nei primi due metri da terra, e contro quel rischio non c’è cemento che tenga (muri contro gli tsunami sono stati peraltro costruiti in Giappone, ma non hanno mai funzionato). Si capisce perché lo tsunami farà probabilmente più vittime del terremoto in sé: nessun sistema di allerta può funzionare quando il tempo a disposizione è così poco. L’immunità dagli eventi naturali non rientra nelle disponibilità degli uomini.
NUCLEARE, TOLLERANZA ZERO – Non si può addomesticare l’energia nucleare, esattamente come non è possibile domare lo tsunami, solo che della prima dovremo fare a meno (l’uranio, come il petrolio, è a termine), il secondo non lo elimineremo mai. Ancora non è chiara la portata del grave incidente di Fukushima, ma economisti improvvisatisi ingegneri e politici diventati ideologi del nucleare ci dicono che questa è la prova che la sicurezza funziona e che da noi si va avanti comunque. Peccato che neanche gli accortissimi geofisici giapponesi si aspettassero un terremoto di quella violenza sul proprio territorio, ma, al massimo di magnitudo 8 Richter (cioè decine di volte meno distruttivo). Perciò i parametri di sicurezza di quella vecchia centrale non erano adeguati al sisma. Ciò significa che un qualsiasi programma di costruzione di centrali sul nostro territorio deve essere rivisto per parametri di sicurezza non più commisurati a un terremoto massimo di magnitudo 7,1 Richter (quello di Messina preso a riferimento), ma anche di potenza maggiore. Con costi incrementati di conseguenza. In secondo luogo, oggi tutti possono comprendere che il costo di un kWh di origine nucleare non è stimabile a priori, ma solo a fine ciclo del combustibile. Cioè che vanno messi nel conto inertizzazione delle scorie (dove? Come?) e possibili incidenti, che, come si vede in queste ore, fanno lievitare i costi in maniera esponenziale. Chi costruisce una centrale lascia questi costi occulti a carico della collettività, che sarà obbligata a caricarseli lungo tutta la vita delle scorie, per non citare gli eventuali incidenti. Cioè per migliaia di anni. I guasti nelle centrali nucleari non sono frequenti, è vero, ma quando avvengono pesano più che in qualsiasi altro impianto industriale. Ecco perché la tolleranza deve essere zero. E questo nessuna centrale nucleare può garantirlo.
* Articolo già pubblicato su La Stampa, per gentile concessione dell'autore