Cristo ai Discepoli: “Io sono con voi tutti i giorni”. Il vangelo di Matteo (Mt. 28, 16-20) termina con la scena ambientata in Galilea sul monte ed evidenzia la trasmutazione che la risurrezione ha operato nel Cristo: la morte non ha chiuso in modo umiliante i suoi giorni, ma ha segnato l’inizio della sua irrefrenabile espansione nel mondo. Gli undici apostoli obbediscono al comando del Maestro risorto ricevuto dalle donne.
La meta del loro cammino è la Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. L’evangelista lascia intendere la scena del riconoscimento dalle rimostranze degli apostoli e dalla successiva prostrazione, il che serve a sottolineare l’identità tra il Gesù di Nazareth, che gli apostoli avevano conosciuto, e il Risorto, la continuità tra il Gesù storico e il Cristo glorioso. Gesù si manifesta dove ha operato: egli ha svolto la maggior parte del proprio ministero in Galilea e quindi proprio lì dà anche le prove della sua risurrezione, della sua nuova presenza.
L’incontro e la visione del Maestro hanno l’effetto immediato della prostrazione e adorazione, come fu per l’incontro con le donne (v. 9). La nota “ma essi dubitarono” (v. 17) attira l’attenzione sulla poca fede degli apostoli che le parole delle donne annuncianti l’evento della risurrezione non erano state del tutto persuasive.
Il Maestro rimette in moto la sequela, si fa incontro ai suoi discepoli e li ristabilisce nel loro ruolo. Il gesto del suo venire incontro è accompagnato dalle parole che chiudono il testo del vangelo. L’ultimo breve discorso di Gesù si configura in tre parti: l’autorità conferita, il compito dei discepoli, la perenne presenza.
L’autorità richiama il precedente annuncio di Gesù dopo la confessione di Pietro. Da una parte Pietro riconosce Gesù come il Cristo, il Figlio del Dio vivente e riceve l’annuncio dell’edificazione futura della Chiesa, nonché la promessa dell’autorità delle chiavi; dall’altra il Risorto invia gli Undici in missione presso tutte le genti. In entrambi i casi le parole sono pronunciate da Gesù. Nel primo brano della confessione di Pietro le parole sono al futuro: “sopra questa pietra edificherò la mia chiesa…Darò a te le chiavi del regno dei cieli” (16, 18-19). In questo brano, invece, c’è un comando al presente: “fate discepole tutte le genti” (v. 19).
Il ministero di Gesù è presentato come una narrazione “double face” che convoglia l’attenzione sulla Chiesa futura nella sua connessione con il Regno e se il primo brano culmina nell’annuncio della costruzione futura della Chiesa edificata dallo stesso Cristo e del compito affidato a Pietro, il secondo raggiunge il vertice proprio con l’invito in missione dei discepoli, che si radica sull’autorità del Risorto.
Questo dittico narrativo è attento alla relazione tra Chiesa e Regno dei cieli: la formula “le chiavi del Regno dei cieli” date a Pietro, lega l’agire storico della Chiesa-Comunità alla dimensione escatologica. Dio è il Creatore e il Signore dell’universo, ma chiamando ed elevando Gesù alla gloria celeste ha voluto costituirlo partecipe dei suoi sovrani poteri: da umile servo del Signore diventa il Figlio dell’uomo annunciato dai profeti dell’Antico Testamento.
Il compito dei discepoli è portare gli uomini alla sequela di Cristo: il discepolato è sempre una vocazione, una chiamata del Maestro a seguirlo. La Chiesa è la continuazione di Cristo, suo corpo rimasto sulla terra, e il Signore si serve delle parole della Chiesa, dei suoi gesti per far continuare a sentire la sua voce e a ripetere le sue operazioni salutari. Così incontra nel tempo quelli che non ha potuto incontrare nel suo pellegrinaggio terrestre. La vita concreta per diventare discepoli è il battesimo e l’annuncio del Vangelo: la predicazione è il ministero apostolico per eccellenza, che la comunità è chiamata a svolgere. I discepoli devono battezzare tutte le genti “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (v. 19). Il gesto del battesimo si accompagna all’insegnamento: il contenuto dell’insegnamento è di custodire quanto Gesù ha comandato ai suoi discepoli e quest’azione del custodire è indicata dal verbo “tereo”, che richiama l’osservanza dei comandamenti divini.
“Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v. 20). Il finale evidenzia la perenne presenza di Gesù con i suoi discepoli ed è annunciato in modo solenne. Il discepolato è in sostanza “essere con” il Maestro fino alla fine della storia, il Dio con noi, l’Emanuele. La presenza del Signore in mezzo al suo popolo è sostituita da quella di Gesù, che guiderà la comunità e i singoli sino alla fine del mondo, per tutta la fase terrestre del regno. “Io e voi” è il binomio che rassicura la chiesa in tutto il suo pellegrinaggio sulla terra: la Chiesa è di Cristo e tale rimane anche nella fase della sua apparente assenza. La prima nasce da una relazione interpersonale con Cristo e si sostiene solo in virtù di un rapporto intimo e vitale con lui. Il compito di evangelizzare il mondo è davvero complesso, ma lui c’è. In tutto ciò che la Chiesa compie, l’annuncio del Vangelo, l’amministrazione sacramentale, le operazioni prodigiose, essa continua l’opera di Cristo. l’attuazione della salvezza non può essere lasciata alle sole forze e capacità umane.
L’attuazione della salvezza non può essere lasciata alle sole forze e capacità umane. Tu, Gesù, non hai abbandonato i tuoi discepoli e questa nostra terra: ora sei presente in modo diverso, ma proprio per questo rimani accanto a ognuno di noi, in qualsiasi regione del mondo. Hai voluto che la tua missione continuasse e hai deciso di servirti di noi, per portare dovunque il Vangelo perché diventasse la luce di tutti coloro che lo accolgono con cuore sincero e buono, perché ogni uomo e donna potesse partecipare alla comunione di amore che ti unisce al Padre e allo Spirito Santo e attraverso il battesimo fossimo rigenerati a vita nuova.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Bonelli, 2020; Laurita, 2020.
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