In questa decima domenica del Tempo Ordinario c’è una perfetta corrispondenza tra la prima lettura che ci narra la risurrezione del figlio della vedova di Sarepta da parte del profeta Elia e la lettura del Vangelo (Lc. 7, 11-17) dove si racconta la risurrezione del figlio unico della vedova di Nain da parte di Gesù. L’evangelista Luca, pur ispirandosi al racconto del libro dei Re (17, 17-24), ci fa capire come Gesù supera infinitamente il profeta Elia: non conosciamo i sentimenti di Elia di fronte alla morte del figlio della vedova di Sarepta, ma Luca segnala la compassione di Gesù verso la madre di Nain che piange il figlio giovane morto. Il Dio-giudice che toglie la vita come punizione per le colpe nascoste, temuto dalla vedova di Sarepta, si contrappone al Dio incontrato dalla vedova di Nain, un Dio che vede il nostro dolore, che ci avvolge con la propria compassione e ci chiede di alzarci, abbandonando ogni forma di morte.
Mettiamo subito in evidenza che questo racconto appartiene alle tradizioni esclusive di Luca: l’episodio in questione è narrato soltanto dal terzo evangelista, ed è inserito all’interno del suo “piccolo inciso” che aggiunge alla trama del vangelo di Marco: Gesù guarisce il servo del centurione, risuscita il ragazzo di Nain, realizzando le meraviglie previste dal profeta Isaia per la venuta del Messia.
La “pietà” di Gesù
Gesù, seguito dai discepoli e dalla folla, è in cammino. La sua meta è la città di Nain, che significa “delizie”: essa si trova a 10 Km a sud-est di Nazaret, a circa una buona giornata di cammino da Cafarnao, dove si trovava Gesù. Dalla città esce un corteo di morte: si tratta di un “morto, unico figlio di una madre rimasta vedova” (v. 12); una donna, una vedova in lacrime, che accompagna al sepolcro il suo unico figlio, ancora giovane. E’ una madre “vedova”, senza sposo, senza amore e senza difesa, povera e derelitta, priva di diritti e di identità, che neanche può acquistarli nel figlio, perché è morto! Questa vedova è immagine dell’umanità intera, ormai lontana dal suo sposo, che è Dio. La molta gente che accompagna la donna indica la consistenza del corteo, di ogni corteo di morte che coinvolge tutti, perché in essa si piange in anticipo la propria; ogni morte è di tutti e di ciascuno.
“Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei” (v. 13): è la prima volta che Luca chiama Gesù “il Signore” e gli attribuisce il sentimento della compassione per la povera donna. Si tratta di un sentimento molto forte, di un’emozione che afferra nella parte più profonda dell’essere. La compassione di Gesù è rivolta alle folle in generale e ai privilegiati del Regno: i poveri, i malati, i peccatori. Nel caso presente a beneficiarne è una donna: Luca manifesta un particolare interesse per le donne in quanto oggetto della misericordia divina. Le donne, infatti, insieme ai peccatori e agli stranieri erano le persone disprezzate dal mondo antico e verso i quali Gesù, invece, manifestava la sua bontà.
“Non piangere” (v. 13): una madre davanti alla morte del figlio, come può non piangere? Anche Gesù, davanti alla tomba di Lazzaro, pianse! Se Gesù dice così non è perché ignori la tragedia della morte; è perché intende dare la speranza della vittoria su di essa. A questa speranza fa da velo proprio il pianto, segno della disperazione umana di fronte all’inevitabile. Il Signore della vita ci sta dinanzi e solo la paura della morte ci impedisce di vederlo! Poiché è commosso e toccato dal male, Gesù si muove, avanza e tocca la bara. Quando lui tocca il legno della bara, si arrestano coloro che portano alla tomba. Quando lui, compatendo il nostro male, toccherà il legno della croce, sarà vinta la morte.
“Ragazzo, dico a te, alzati” (v. 14). Non si può rivolgere parola più insensata e inefficace: parlare a un morto e ordinargli di vivere! Ma il Signore agisce proprio mediante la sua parola creatrice. Dal nulla ha suscitato tutte le cose, dalla morte suscita la vita. Questa è la potenza della fede, che opera la salvezza per ogni uomo. Certamente per Luca la risurrezione di Nain è un simbolo che annuncia la risurrezione gloriosa del Signore; il lettore del suo Vangelo riesce a comprendere che questo miracolo del Cristo terreno era un riflesso anticipato della vita nuova di risorti, anche perché, il verbo “alzati” nel linguaggio cristiano primitivo non indicava solo la risurrezione di Cristo, ma pure il risveglio spirituale realizzato dal battesimo (cfr. Ef. 5, 14). E il morto, che prima giaceva, ora siede sopra la bara, sopra la morte stessa. In Gesù che vince la morte, si compie la liberazione dalla schiavitù fondamentale, la paura della morte propria di tutti gli uomini.
Le conseguenze dell’avvenimento
“Un grande profeta è sorto tra noi, e Dio ha visitato il suo popolo” (v. 16). Tutti i testimoni hanno compreso che era sorto un grande profeta e che la sua pietà era lo strumento della compassione divina; tutto il suo popolo ha ricevuto la visita di Dio. Due grandi folle che si muovono in senso inverso (il corteo funebre e le folle che seguono Gesù) s’incontrano alle porte della città e assistono insieme all’avvenimento: è naturale che tutta la Palestina e dintorni ne siano informati (cfr. v. 17).
La folla riconosce la visita di Dio nell’apparizione di un profeta in grado di risuscitare un morto, manifestando in ciò un principio di fede che la distingue dai farisei (Lc. 7, 39). Tuttavia, la folla ha del Messia un concetto ancora nazionalistico e terreno e si limita a credere che Gesù sia Giovanni, o Elia, o un altro profeta risuscitato (Lc. 9, 19): per essa, la visita di Dio non è ancora “la visita del sole che sorge” (Lc. 1, 78); solo i discepoli riconosceranno ben presto in Gesù il Messia atteso, e Pietro lo proclamerà a nome di tutti (Lc. 9, 20).
Questo brano ci ha descritto come avviene la visita di Dio: il Signore cammina, si avvicina alla porta della nostra città e viene incontro a noi che ne usciamo per entrare nella gola della morte; vede, si commuove, con la sua parola fa cessare il pianto e iniziare la speranza; quindi si fa avanti, tocca la morte, ne arresta i piedi e impartisce l’ordine: “Alzati”. E tutto questo senza nessuna richiesta: Lui è, infatti, la misericordia che colma la nostra miseria. Dove la sua visita non è riconosciuta e accolta, resta il pianto e la paura della morte che regna. Ma lui è ugualmente presente, per visitarci in questo pianto e in questa morte. E’ presente piangendo e morendo lui stesso, come quando piange su Gerusalemme, verso cui cammina per morire, perché non ha riconosciuto il tempo in cui è stata visitata. Quando invece noi, attraverso la fede nell’annuncio, riconosciamo la sua visita, allora avviene anche per noi l’incontro con lui che ci fa passare dalla morte alla vita.
Bibliografia consultata: Ternant, 1972; Fausti, 2011; Gatti, 2013.
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