Religione

Gesù il pane del cielo: convertirsi al dono di Dio

Domanda sul pane e risposta di Gesù

Al centro del brano evangelico (Gv. 6, 24-35) c’è il tema del “credere” nell’inviato divino come condizione di salvezza, prima ancora del nutrimento-pane di vita eterna. Gesù conserva l’iniziativa ed eleva il livello del dialogo mettendo in guardia la folla sulla deviazione del loro desiderio. I presenti hanno fermato l’attenzione sul pane materiale che hanno già mangiato a sazietà, però ciò che li muove è ancora il gusto del pane terreno. Non hanno ancora compreso il dono che il Padre ha fatto loro in abbondanza. Perciò Gesù precisa loro che non sono necessarie molte opere: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (v. 29).

Alle tante opere che la gente è disposta a compiere, Gesù propone l’unica opera di Dio da realizzare; il verbo “credere” è al presente (“che continuiate a credere”): più che un atto si riferisce alla vita di fede, di una fede profonda in Dio e in Gesù che Dio ha inviato. Credere nel Figlio di Dio è l’opera per eccellenza a cui il discepolo è invitato a realizzare. Qui si tocca il vertice della teologia della fede: credere in colui che egli ha mandato. Gesù supera quindi in una sintesi formidabile il problema del rapporto fra azione di Dio e libertà dell’uomo. La fede nell’inviato del Padre ha la promessa della vita: è l’opera di Dio per tutti (v. 45).

Le condizioni del credere

Gli interlocutori comprendono che ora Gesù afferma di essere l’inviato di Dio e si mostrano disposti a credere, però a una condizione, che manifesti la sua missione con un segno adeguato: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto…il pane dal cielo” (vv. 30-31). Questo atteggiamento è tipico di chi non ha fede e desidera un miracolo per credere. Gesù respinge sempre tale richiesta, perché una simile esigenza non può essere posta al Dio sovranamente libero, tanto più da parte di coloro che hanno mangiato i pani moltiplicati. La folla dei presenti chiede a Gesù qualche altro segno, perché finora nessuno è stato sufficiente per aprirsi e credere a Gesù.

Risposta e rettifica di Gesù: in dialogo con la Scrittura

Gesù aiuta a fare un passo in avanti nel dialogo tra il passato e il presente. Non parla più del segno da dare, ma la loro attenzione sul dono che fa il Padre: “Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Il pane di Dio infatti è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo“. Allora gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane” (vv. 32-34). Gesù reinterpreta il testo scritturistico proposto dai presenti rettificandone la comprensione soggiacente cui hanno fatto ricorso: “non Mosè…ma il Padre”, non “vi ha dato”, ma “vi dà” ora; non la manna, ma il vero pane del cielo, di cui la manna era figura (anticipazione). Rettificando il donatore del pane celeste (non Mosè ma Dio), designato da Gesù “Padre mio”, egli fa compiere ai presenti un grande progresso, un vero salto in altezza.

Tanto più che il dono non è fatto in funzione del passato, ma riguarda il presente degli ascoltatori: non è ai padri ma è a voi che il dono è fatto da Dio. Il pane che il Padre mio vi dà, quello vero, indica l’azione che si sta svolgendo ora con la tendenza a durare verso un immediato futuro. Tra il passato e il futuro, c’è il presente di questa realtà relazionale del nuovo pane di Dio, che non nutre soltanto Israele, ma tutta l’umanità.

Gesù il pane del cielo

Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (v. 33). Qui risuona tutto il mistero della persona di Gesù: dalla sua preesistenza, alla sua discesa dal cielo, fino alla sua missione di dare la vita al mondo. Gesù comunica una vita diversa e ulteriore rispetto a quella fisico-morale: è la vita piena, totale, donata a tutta l’umanità. Tale allargamento di orizzonti provoca un’apertura inattesa: “Signore, dacci sempre questo pane” (v. 34); e Gesù risponde: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai” (v. 35). Nell’affermazione “io sono il pane della vita”, il termine pane è precisato come “pane di Dio”: il pane vivo da mangiare per vivere eternamente.

Gesù oggi nel vangelo si presenta come il pane della vita, l’unico pane capace di sfamare la fame dell’uomo. Ci invita a non fermarci al pane di ogni giorno, a darci da fare per il cibo che rimane per la vita eterna. Sì, noi siamo fatti per qualcos’altro: ci portiamo dentro desideri profondi, veri, a cui solo lui, Gesù, può rispondere. Noi adulti, e in particolare i genitori e gli educatori, siamo convinti che è proprio a questo proposito che si gioca la riuscita e la felicità di un essere umano? Cosa siamo disposti a fare per destare la fame di questo cibo, di questo pane che non assicura solo le energie per un giorno, ma fa approdare a una eternità di gioia?

Ci affanniamo e ci affatichiamo, investiamo energie e tempo per assicurarci il pane di ogni giorno e con esso il vestito, la casa, l’auto e un mucchio di altre cose non necessarie. Poi non ci restano momenti da consacrare a ciò che conta veramente: all’ascolto della tua Parola, alla riflessione che permette di leggere e interpretare quello che ci sta accadendo, al dialogo con te e con i fratelli e sorelle, alle opere di giustizia e di carità.

Facciamo tanta strada e spendiamo tanti soldi per accaparrarci beni che dovrebbero assicurarci un’esistenza felice e segnalarci agli occhi degli altri. E poi ci tagliamo fuori da quello che ci consente di partecipare alla vita eterna. Signore, non permettere che affrontiamo questa vita in modo così dissennato. Facci venire la fame del pane vero, disceso dal cielo e insegnaci a distinguere il nutrimento autentico della fede. Desta in noi il desiderio di te che sei il pane della vita.                                                                                                                                              

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Mazzeo, 2021; Laurita, 2021.

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